domenica 31 luglio 2005
Sentii che, senza accorgermene, mi ero trasformato in una specie di rottame o moncone infermo. Ora l'aspetto principale della noia era l'impossibilità pratica di stare con me stesso, la sola persona al mondo, d'altra parte, della quale non potevo disfarmi in alcun modo. Per molti da domani inizia l'attesa avventura delle vacanze, un'esperienza esaltata come rimedio per stress e insoddisfazioni, in realtà non di rado prolungamento in altro luogo e con altro ritmo di una frustrazione che non è, certo, guarita dal divertimento, dalle distrazioni, dal relax. Mi sono venute in mente alcune pagine significative di un romanzo, a suo tempo destinato a successo come lo era il suo autore e ora con lui del tutto dimenticato. Intendo riferirmi alla Noia che Alberto Moravia pubblicò nel 1960. Il piccolo paragrafo che ho citato e che registra il monologo interiore del protagonista Dino esprime in modo incisivo lo stato interiore di molte persone avvolte nella ragnatela della noia, dell'abitudine, della mancanza di senso per vivere e agire. Significativa è quell'incapacità di stare con se stessi: si tratta del dramma peggiore perché da se stessi non ci si può liberare se non col suicidio, suggello estremo di un fallimento. Dino lo programmerà, ma non avrà il coraggio di compierlo, continuando così un'esistenza vuota e infastidita da quella coscienza che rimane sempre accanto a te. Ebbene, senza giungere a questa patologia grave dell'anima, più diffusa di quanto si pensi, saremo capaci di stare con noi stessi, in verità e sincerità, almeno in questi giorni, così da ritrovare un significato e un valore per la vita?
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