giovedì 26 gennaio 2006
La solitudine, l"ho conosciuta tra i 4 e i 12 anni. Unico tra i miei otto fratelli e sorelle, andavo a scuola percorrendo un"antica strada romana. Un"ora di solitudine per andare a scuola, due ore di solitudine  a mezzogiorno per consumare il pane e cioccolato nell"aula disertata dai miei compagni, un"ora la sera per tornare a casa. Questa solitudine fu benefica.Nel volume autobiografico Il bambino che giocava con la luna, p. Aimé Duval, noto cantautore spirituale, racconta così la sua infanzia e adolescenza, avvolta nell"alone della solitudine e commenta: «Ho avuto in tal modo il tempo di darmi certezze a mia misura. Queste certezze hanno avuto a loro volta il tempo di depositarsi lentamente durante la mia vita». Esiste, dunque, una benedizione della solitudine: non per nulla l"esperienza mistica suppone il silenzio interiore e spesso esteriore (l"aggettivo "mistico" deriva dal greco myein, "tacere", così come la parola "mistero"). Il rumore assordante delle discoteche, il muoversi a branco, il chiacchiericcio vacuo e fatuo sono i segnali di una dispersione dell"intimità e della stessa identità.«Bisogna essere soli per non essere mai soli», diceva paradossalmente un autore spirituale, consapevole che la sua solitudine era popolata da Dio e dal mondo che lo circondava. Tuttavia c"è una solitudine che può essere maledizione, come dice il biblico Qohelet: «Guai a chi è solo! Se cade, non ha nessuno che lo rialzi» (4, 10). Si tratta dell"isolamento che è vuoto e abbandono. In esso sboccia la mala pianta della disperazione, dell"incomunicabilità, dell"autismo spirituale. Ed è, allora, vero quello che scriveva il russo-americano Vladimir Nabokov: «La solitudine è il campo da gioco di Satana». Chi è senza legami e senza amore diventa schiavo dell"infelicità, dell"odio, della desolazione. A noi tocca, allora, l"impegno di aiutare costoro ad abbattere il muro del loro isolamento.
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