giovedì 4 giugno 2020
Quando litighiamo con le persone che ci sono più care, avvertiamo un dolore particolare, difficile da definire: un dolore che contiene delusione, rabbia, smarrimento, senso di solitudine. Questo accade perché l'incomprensione riattiva in noi tracce antiche, legate a un tema poco conosciuto ma fondamentale: quello della "sintonizzazione primaria". La creatura umana nasce particolarmente fragile e bisognosa: anche i suoi sensi, che pure si sviluppano già durante la gestazione, sono una guida insufficiente per orientarsi. Abbiamo assoluto bisogno di venire accolti da qualcuno che svolga per noi una funzione di mediazione, funzione che lo psicanalista D. Winnicott definiva con tre parole: "Holding, handling, object presenting"; il loro significato è: trattenere (tenere con sicurezza/ sostenere), maneggiare (toccare con amore), presentare gli oggetti (far conoscere il mondo). Per fare questo l'adulto deve riuscire ad incontrare empaticamente i bisogni del neonato, immaginarli, "sentirli"; come per tutte le cose davvero importanti non si tratta perciò in primo luogo di "fare" qualcosa, quanto piuttosto di mettersi in un'attitudine di ascolto: ci vogliono infatti tempo, attenzione e pazienza per creare lo spazio mentale accogliente necessario all'incontro soddisfacente tra i bisogni del bambino e la risposta dell'adulto. La gestazione, con l'infinito scambio di messaggi fisici e psichici che intercorrono per nove mesi tra la madre e il bambino, predispone in particolare la donna a questa competenza, che non è però né automatica né scontata, perché richiede di rallentare i ritmi e di affinare i sensi; se accetta l'apparente passività che le è richiesta, la donna scopre però il piacere profondo del contatto con la creatura che porta in sé. Il frutto buono di tutto questo è, appunto, la capacità di sintonizzazione; la mamma e il suo bambino riescono a "capirsi": senza parole, attraverso il continuo mutuo scambio di impercettibili segnali (sguardo, modulazione della voce, tono muscolare) creano una comunicazione circolare efficace che fa sentire entrambi appagati. L'esperienza di una buona sintonizzazione primaria è fonte di fiducia nella bontà di se stessi, del mondo e delle relazioni; la sua assenza o insufficienza invece costituiscono un ostacolo importante; il bambino cresce con quello che un altro noto studioso, J. Bowlby, definiva uno stile di attaccamento insicuro e la sua percezione sarà quella di una maggiore precarietà e minacciosità delle relazioni. Nella vita adulta ognuno porta con sé questo vissuto originario; abbiamo in noi il desiderio di ripetere la buona esperienza conosciuta, oppure quello di poter fare finalmente un'esperienza soddisfacente, che permetta di correggere l'antica mancanza. Questo vale soprattutto nelle relazioni affettive, in cui si ripropone in modo radicale il tema della fiducia e dell'affidamento: l'esperienza di un amore corrisposto è proprio quella di trovarsi
in piena sintonia e sulla stessa lunghezza d'onda dell'altro. Per questo non capirsi più con le persone care è così doloroso: la sintonizzazione si interrompe e il segnale diventa incomprensibile, lasciandoci smarriti. Sappiamo bene che non è questione di parole: quando la sintonia è interrotta le parole spesso non fanno che peggiorare le cose. Ognuno risponde in modo diverso al dolore psichico di questa esperienza inevitabile, secondo il proprio stile di attaccamento: la persona fiduciosa riesce con più facilità ad aspettare e riprovare, la persona sfiduciata sente invece un forte impulso a ritirarsi o ad attaccare. Conoscere questo funzionamento in noi stessi e riconoscerlo negli altri è importante: permette di ricordare che siamo tutti vulnerabili, aiuta a non giudicare, suggerisce possibili strategie per ricucire i legami che si spezzano. Ma indica anche la necessità preventiva di tutelare e curare lo spazio prezioso della prima relazione mamma-bambino, sia prima sia dopo la nascita: uno spazio oggi sempre meno valorizzato e protetto, cui è stata tolta ogni specificità.
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