venerdì 21 ottobre 2016
Occupandomi ogni tanto di cinema, mi capita di incontrare giovani registi o aspiranti tali, e non sempre si tratta di persone che sanno quello che vogliono, che hanno qualcosa da dire e che si pongono il problema di come dirlo. E il come, in certi campi, è altrettanto importante del cosa. Mi ha molto colpito di recente la visione di un film – che uscirà nelle sale a novembre, e di cui si parlerà meglio allora – realizzato a Verona da un giovane veronese-singalese, cresciuto qui e ormai italiano, che racconta il difficile rapporto tra una madre badante, legata alle tradizioni della sua cultura, e un figlio adolescente del tutto italianizzato e sciocchino come i suoi coetanei… Mi ha molto colpito anche un progetto di un giovane bielorusso di Lecco, anche lui ormai italiano, allievo del Centro sperimentale di cinematografia romano: un giovane nero diventato celerino si trova a partecipare allo sgombero di una casa occupata da migranti, tra i quali sua madre e i suoi fratelli. Il protagonista del secondo film è un giovane africano adottato, cresciuto a Roma e italiano a tutti gli effetti. Qualcosa di nuovo sotto il sole, e una generazione che, dopo le prime delicate prove di qualche scrittore, meglio ancora di qualche scrittrice, si esprime in modi decisamente adulti anche in altri campi d'espressione e, in definitiva, in tante parti della nostra società portandovi qualcosa di nuovo, un modo nuovo di guardare, una sensibilità nuova nel sentire e soffrire le ambiguità i problemi i dolori della nostra società. E nei modi di intervenirvi. A un incontro con giovani di "seconda generazione", uno di loro, africano ormai italiano, bravissimo studente di giurisprudenza, ha affermato orgogliosamente: «Io sarò il primo giudice italiano nero». Mi è venuto da abbracciarlo dicendogli: «Evviva, anche se domani potresti mandarmi in galera!». Sì, qualcosa decisamente sta cambiando anche in Italia, qualcosa di molto importante, nonostante pregiudizi stupidità malvagità che vengono da chi comanda e da chi è italiano da tante generazioni ma forse non da sempre. Quest'estate, dalla Puglia a Piacenza, si è assistito anche – ed è un fatto più importante e decisivo – a lotte di braccianti e operai immigrati gestite da piccole embrionali organizzazioni sindacali o para-sindacali degli stessi immigrati, con il contributo di qualche nostro attivista. Nello stesso tempo in cui si piangono i giovani morti in mare (nel barcone recuperato due o tre giorni fa erano centinaia! E deve essere questo un lutto di tutti, è un lutto di tutti) bisogna gioire della novità del contributo che i giovani immigrati danno e possono dare, in particolare di quelli così dinamici della seconda generazione, per svecchiare una società pigra, conformista e, in definitiva, vile.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI