venerdì 7 ottobre 2016
Ieri mi hanno telefonato da una cittadina del sud, da una delle due o tre comunità che frequento con una certa assiduità, per dirmi che era morto Toruzzo. Toruzzo era nato nel mio stesso giorno d'aprile, qualche anno dopo di me. Quando ero giovane, al mio paese, lo avrebbero definito “un infelice”: condanna senza appello per chi era nato con qualche grave difetto fisico. Penso per esempio alla gobba, da quanto tempo non si vedono più in giro gobbette? La medicina o ha sconfitto la gobba, o – viene il sospetto – la medicina elimina gli “infelici” prima ancora che nascano, così come nel mondo contadino di tutti i paesi, fino almeno alla metà del Novecento, si eliminavano i neonati indesiderati, soprattutto se di sesso femminile, per ragioni rigidamente e tremendamente economiche. E quanti “infelici” sono stati tali soltanto per colpa di levatrici o medici frettolosi o incapaci? Mi è venuto da chiedermi: ma Toruzzo era forse infelice? Il suo ritardo, più mentale che fisico, gli ha forse impedito di avere una vita che, grazie alla comunità che tanti anni fa lo ha accolto, è stata a suo modo felice? Toruzzo era sempre allegro, un po' tardo è vero, e anche fisicamente disordinato, ma infelice non lo era, nonostante qualche improvvisa e transitoria cupezza, distratto dai suoi incontri in giro per il paese, dal piccolo repertorio di battute che biascicava con un po' di fatica o che gli venivano riservati da persone che lo conoscevano e che conosceva da sempre, e dal fatto di avere, infine “una famiglia”, la comunità che lo aveva accolto e grazie alla quale aveva una stanza e un letto, pasti regolari, cure mediche e, forse la cosa da mettere al primo posto, compagnia, un sentimento di appartenenza, di non-solitudine. Ogni tanto si concedeva, con i pochi soldi rimediati da qualche persona amica ma mai accattonando, una visita in un bar-osteria, ma trovava anche lì persone attente a non farlo ubriacare. È vissuto in mezzo a persone che gli si erano affezionate così come lui si era affezionato a loro. Mi è capitato di festeggiare due o tre volte il mio compleanno (di solito è una data che trascuro) solo perché era anche il compleanno di Toruzzo, insieme a lui. È un bel ricordo, da cui credo di aver tratto un insegnamento: nessuno è mai veramente infelice se c'è chi si occupa di lui, chi gli vuol bene. Addio, Toruzzo, hai seguito non di molto Maria Oliverio detta Olivia, paraplegica entusiasta e ironica, un'amica della stessa comunità. Anche lei ha avuto una vita nonostante tutto felice, certamente più felice, per quel che ne posso giudicare, di quella di tante persone “normali” che conosco.
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