giovedì 30 marzo 2017

L'immagine è scandalosa. Turba immediatamente quello sguardo gigantesco che si affaccia da una improbabile finestra sghemba. La tela è pentagonale e il taglio obliquo e nero che incornicia il dipinto contribuisce a suggerire l'incombere di un mistero riletto in chiave mitologica. L'artista è noto Alberto Savinio, ovvero Andrea de Chirico, fratello di Giorgio. Savinio si concepiva come centrale creativa, capace di porsi al di là e al di sopra delle singole ragioni di ciascuna arte. Così questa annunciazione, surreale e metafisica, denuncia con grande anticipo l'assenza di rispetto verso il Mistero cardine della nostra fede: Et verbum caro factum est. Basterebbe digitare in un motore di ricerca per immagini il nome di Savinio per accorgersi di quali applicazioni aberranti abbiano avuto le sue opere. Qui, l'arcangelo Gabriele, dal volto gigantesco, dai lineamenti mediati dalla statuaria greca e quasi caricaturali, non manca di commossa compassione di fronte a una Vergine accogliente, sorpresa quasi per caso, nell'assopimento serale di una meditazione accanto alla finestra.


Tutto il Cielo, nero e impenetrabile si è riversato lì, in quella stanza. È il “Cielo” percepito dall'uomo contemporaneo come gravido di vuoto. Siamo lontani dalla delicatezza dell'Angelico che registrava le annunciazioni come un ritorno alla beata condizione dell'Eden, come il male sconfitto una volta per sempre. Qui c'è tutto il dramma dell'uomo che non sa declinare la grammatica della fede. Un uomo che porta lenti aberrate, che guarda e non vede. Guarda e non contempla. Come non pensare allo scempio del fatto cristiano oggi, nelle immagini come nei gesti; non si può non pensare alla dissacrazione di Dio in generale, all'ateismo arrogante, alle stragi in nome di Dio, in qualunque latitudine e religione.

La Madonna di Savinio ha il volto di un uccello. Questo disturba. Eppure se riusciamo un poco ad andare oltre, a collocarci nell'ottica stessa dell'artista riusciamo a vedere un bene. Savinio aveva dipinto in tale foggia anche la propria madre: il volto della Vergine è quello di un pellicano. O pie pellicane Jesu Domine, cantava San Tommaso. In quel volto c'è già impressa l'Immagine di Colui che Maria accoglie nel suo grembo: caro Christi, caro Mariae. La carne di Cristo è la carne di Maria. Colui che darà in cibo la sua carne ha attinto interamente la sua carne da questa Vergine, dal suo assenso incondizionato e umile, pronto al dono di sé, come il pellicano, appunto.

Allora lo sguardo che s'intreccia tra i due non ci pare più così blasfemo, ma lo vediamo colmo d'intensa partecipazione. Lo sguardo di Gabriele penetra nell'anima di questa giovane che vede rovesciarsi le sue prospettive tanto quanto sono rovesciate le prospettive della stanza. Ella sarà la Madre di quel Pie pellicane che darà senso e corpo alle coordinate sghembe della storia. La finestra spalancata è una croce spezzata. È una croce aperta. Savinio intuisce che la radice della vittoria di Cristo sul male e sulla morte, è qui. La radice dell'offerta in croce che manifesterà Cristo come pie pellicane, è qui. La tela rimane la testimonianza di un'anima in bilico tra dissacrazione e assenso alla fede. Una tela che interpella noi e ci obbliga in qualche modo alla decisione. Che ne sarà della nostra fede di fronte alle provocazioni di un mondo dissacrante? Da che parte staremo noi riguardo al Mistero dello scandalo della fede? Inconsapevolmente, forse, Savinio ci prende per mano e ci guida a declinare la nostra risposta.

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