mercoledì 17 settembre 2003
Quanto più già si conosce, tanto più bisogna ancora apprendere. Col sapere cresce nello stesso grado il non-sapere o, meglio, il sapere del non-sapere. Siamo ancora nei primi giorni dell'anno scolastico e, sulla metropolitana milanese, incontro una professoressa di liceo che mi riconosce.
Si discute, così, delle solite questioni riguardanti la scuola italiana, coi suoi difetti e i suoi pregi, con la fatica del suo procedere e così via. A un certo punto, quando parliamo della formazione degli insegnanti, quella docente mi ricorda una considerazione dello scrittore tedesco Friedrich von Schlegel (1772-1829), l'avversario ideologico di Goethe, iniziatore della poetica romantica. Mi sono mentalmente annotato quella frase e la propongo oggi ai miei lettori perché penso valga per tutti e non solo per chi insegna o deve operare nel mondo della cultura. Infatti, se si è veramente intelligenti, si comprende che l'orizzonte della conoscenza è sterminato, anche per quanto riguarda le scelte pratiche, ed è perciò necessario porsi in atteggiamento costante di ricerca, di approfondimento, di ascolto. E' solo l'ignorante becero e ottuso che crede di sapere già troppo e di poter pontificare su tutto, senza mai accogliere suggerimenti o critiche. Sapere di non sapere è certamente un segno non solo di umiltà ma di intelligenza. E la vera intelligenza non è tanto quella misurata coi test, spesso fallaci, come diceva di un suo personaggio lo scrittore americano Saul Bellow: «Era un imbecille con un alto quoziente intellettuale». E', invece, la ricerca appassionata e costante della verità che è infinita come Dio, il suo Signore.
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