venerdì 23 marzo 2018
Sono apparse negli Oscar Mondadori (un volume rilegato di quasi settecento pagine, in formato grande) Tutte le poesie di Fernando Bandini, per cura e commento di autorevoli studiosi come Beccaria, Renzi, Zucco. Sono un lettore abbastanza assiduo di poesia, e al tempo dei Quaderni piacentini, soprattutto grazie ai legami che sapeva intrattenere Grazia Cherchi, ho avuto la fortuna, che oggi mi sembra un dono incommensurabile, di conoscere e frequentare alcuni dei migliori poeti del nostro Novecento: Sereni e Zanzotto, Giudici e Fortini, Raboni e Majorino e altri ancora. E Fernando Bandini, vicentino, che incontrai la prima volta nella sua città quando con Grazia e con Piergiorgio Bellocchio ci recammo in visita a Franco Basaglia a Gorizia, e doveva essere più o meno il 1965. Era stata proprio Grazia a portare a Sereni le poesie di Bandini, sino allora apparse presso editori minori. Sereni ne riconobbe subito la novità e la bellezza e le fece pubblicare – lavorava alla Mondadori – nella più prestigiosa collana di poesia che allora ci fosse, Lo specchio. Bandini era un uomo assolutamente privo di affettazioni, di una semplicità e di una sorta di intima allegria che subito conquistavano. Ci teneva a dire che per tanti anni aveva fatto il maestro elementare – che era anche stato in parte il mio lavoro o almeno la mia vocazione – e che aveva constatato come tra maestri ed ex maestri si stabilisse subito un'intesa particolare. È vero, l'ho constatato anch'io più di una volta. Bandini scriveva in lingua e a volte in dialetto, ma spesso anche in latino (vinse più volte il premio Pascoli, assegnato da una giuria di illustri latinisti in Olanda), e parlava in un bell'italiano con venature dialettali. È stato una presenza generosa, assidua nelle riviste in cui ho lavorato. A lui e a Zanzotto, più nevrotico e a tratti ermetico, era impossibile non affezionarsi, e per fortuna è possibile godere ancora delle loro idee, dell'intensità del loro pensiero, leggendo e rileggendo i loro versi, più immediati quelli di Bandini (anche i latini, nelle sue traduzioni), più ermetici a volte quelli di Zanzotto. Ho visto Bandini l'ultima volta nel letto di ospedale in cui poco tempo dopo morì, cinque anni fa. Ero insieme a Gianfranco Bettin, pure suo amico, e al poeta vicentino Paolo Lanaro. Fu un incontro triste, come era prevedibile, ma anche in quel caso Bandini fu spiritoso e affettuoso. Aveva a portata di mano, sul bianco del letto, un taccuino su cui tentava con fatica di appuntare dei versi. È bello e doveroso l'omaggio che gli hanno fatto gli Oscar. Nella sua prefazione Beccaria ricorda uno dei suoi versi che più mi ha intrigato e mi inquieta: «Abbiamo molti giorni di ritardo / sulla vita».
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