sabato 24 luglio 2004
Davvero la giovinezza è vanità soltanto,/ quand'essa spinge a piaceri che sono disordinati;/ ma colui che saldamente ne regge le redini,/ rimane non sottomesso per sempre alle passioni,/ e diviene così erede della vita immortale,/ e non del turpe piacere effimero e profano./ Non può avere la vita eterna colui che se la gode. Digenis Akritas è un poema epico greco compilato forse nel XII sec. su materiali più antichi di origine orale. E' la celebrazione della lotta secolare tra i soldati di frontiera bizantini, gli akrítai appunto, contro gli arabi lungo l'Eufrate, con le gesta leggendarie dell'eroe Digenis (versione italiana: Giunti 1995). Abbiamo scelto un brano proposto tempo fa in un suggestivo spazio riservato alla poesia presso l'aeroporto di Fiumicino, ad opera del suo vicepresidente, il prof. Paolo Savona. E' veramente significativo suggerire un "volo" nel tempo, nell'essere e nell'esistere là dove si vola nello spazio e nell'esteriorità. Tema è la giovinezza e la sua fragilità, un motivo cantato anche dal sapiente biblico Qohelet in una strofa nostalgica e sottilmente amara (11, 7-10). In realtà i versi delineano un'esperienza che permane in tutte le età perché, tenere le redini delle passioni, non lasciarsi irretire dall'illusione di ciò che è effimero, gettarsi robustamente sui piaceri è una tentazione costante della persona. L'immagine delle redini - che attinge al mito del Fedro platonico della biga col cavallo nero delle passioni e con quello bianco delle virtù - diventa, perciò, un emblema per tutti, anche per il vecchio che può lasciarle cadere di mano e precipitare nella polvere, dopo una lunga marcia nella pianura della virtù.
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