giovedì 4 settembre 2014

La mela evoca immediatamente l’antica discordia dell’Eden,
una discordia che si perpetua nel tempo rivestendosi di sempre nuovi pretesti.
È il caso abbastanza recente della mela di Apple, a lungo disputata con la
Apple Record dei Beatles. Gli antichi Baronetti fecero causa all’intraprendente
Steve Jobs a motivo del logo della mela, una causa che si risolse solo nel
2007. Pochi sanno che il tutto ebbe origine da un dipinto di Magritte. Paul
McCartney si era appassionato a René Magritte e alla sua pittura stravagante.
Un giorno mentre il baronetto era impegnato in prove di registrazione, Magritte
gli fece visita e, per non disturbare, lasciò un dipinto con una grande mela e
una scritta: Au revoir. Quella mela, tagliata a metà, divenne il logo della
casa discografica dei Beatles.

In una delle molteplici versioni della mela, Magritte
confina il frutto dentro una casa. Il titolo: la camera d’ascolto fa
riferimento alla proverbiale incapacità di ascoltare dell’uomo. Il primo comandamento
biblico: Shemà Israel, resta ancora il principale comando disatteso dall’uomo. Ascoltare
è un’arte difficile. La stanza di Magritte è inospitale, tutta piena del pomo
dell’origine. Forse il buon René non poteva immaginare quanto drammaticamente
noi potessimo essere testimoni di ciò. Cuore e orecchie oggi sono pesantemente segnati
dalle pulsioni dei sensi che paiono l’unico criterio di giudizio sulla realtà.
Non c’è possibilità di lasciar spazio allo sguardo in una stanza così,
impossibile prendere le distanze dalla propria istintività, giacché questa la
fa da padrona.Il pavimento di parquet rende ancora più soffocante
l’atmosfera sebbene Magritte lasci, come spesso nei suoi quadri, la via di fuga
della speranza. La speranza sta in quell’unica finestra della stanza chiusa.
C’è un mondo là fuori, vasto e terso, un mondo che chiama ad allontanare lo
sguardo da sé per volgerlo a un reale che ci supera e ci orienta verso l’alto:
il Cielo. Magritte ci obbliga a pensare a tanti temi oggi ricorrenti: gli abusi
sulle donne; le questioni legate al gender; la disputa sui figli nati in uteri
affittati o per uno strano mixer di ovuli e inseminazioni; la pedofilia e la
repulsione verso il disabile con la conseguente eutanasia. L’elenco potrebbe
continuare, ma non voglio. Chiedo a Magritte (che era più religioso di quanto non
si pensi) di darci una mano a cambiare aria, a spalancare finalmente la
finestra dell’angusta stanza del terzo millennio e aiutarci a vedere più chiaro
dentro e fuori di noi e valutare meglio i punti chiave delle nostre discordie.

Un artista contemporaneo, scomparso nel 2002, Vanni Viviani,
ha dedicato alla mela tutta la sua vita. La sua villa ottocentesca, Ca di Pom,
è diventata una sorta di scrigno dove il frutto dell’Eden è rivisitato in molti
modi. Proprio qui, un’opera del Viviani, desta non poco stupore. Riferendosi a
Leonardo da Vinci egli rilegge l’ultima Cena alla luce dell’antico frutto
proibito. Il cenacolo vede accalcarsi alla tavola non i discepoli gesticolanti
del grande genio vinciano, ma pomi di vario tipo: mele intonse, mele tagliate,
mele mancanti di una fetta. Solo la mela di Cristo è aperta e scavata
all’interno come fosse una coppa. In lui non c’è la polpa del male. Egli è una
sorta di alfa e omega come sembra alludere il taglio dei bordi della mela
scavata. Gli altri hanno in sé il seme del male, mentre Cristo ha davanti a sé
due semi. Solo lui è capace di unire i contrari, di fare dei due un popolo
solo, di trasformare le nostre discordie in un banchetto di pace. Viviani non
era artista religioso, anzi le sue mele rimandano spesso all’aspetto erotico
del frutto, eppure qui coglie magicamente un senso profondo, arcaico. Quello di
una discordia antica che proprio nel punto culminate della vita del Cristo si
svela e inizia la sua caduta. L’ultima cena annienta il veleno dell’antico
frutto e ci regala un cibo nuovo che, come la finestra spalancata di Magritte (cui
peraltro Viviani faceva esplicito riferimento), invita a volgere lo sguardo
altrove, oltre il verdeggiante paesaggio che s’intravvede nel cenacolo vivianesco.





René Magritte, La
chambre d'écoute (La camera d’ascolto) 1952 olio su tela 45 cm× 54,7 cm The
Menil Collection, Housto
n.

Vanni Viviani,
L'ultima cena, 1996 tecnica mista su tela, cm. 150 x 200 Ca di Pom

San Giacomo Delle Segnate MN

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