domenica 5 marzo 2017
Le ragioni profonde che ci avvicinano a certi verbi, e ci distanziano da altri, vanno ricercate non solo nell'imponderabile che tesse la pura trama delle casualità, ma in quelle necessità che sono nascoste nel nocciolo della nostra esperienza vitale e ci spingono verso una determinata direzione, anche se dei loro motivi noi non siamo immediatamente consapevoli. E sono queste necessità, tuttavia, che rimangono così spesso inascoltate, quelle che ci è più urgente accogliere e lavorare interiormente: se esse esprimono la nostra ferita, sono ancora loro a illuminare la natura di ciò che per noi può rappresentare il riscatto. Il verbo piantare ne è un buon esempio. È un verbo umile e silenzioso; una pratica artigianale primitiva, dura, plastica e incessante; antica quasi quanto l'uomo; legata a una delle attività decisive nell'interminabile lotta per la sussistenza - la coltivazione della terra. Piantare, potremmo allora dire, non è una scelta: è una sollecitazione ineluttabile della vita stessa, che da tale gesto dipende. Ma è sempre così. Anche quando piantare assomiglia a un hobby senza speciali finalità; anche quando si configura come un fare puntuale, uno dei tanti cui ricorriamo per distrarci da altro. Anche lì, il verbo piantare è un modo di approfondire e di rifare l'alleanza con la vita. Forse è questo, più di ogni altra cosa, il tempo di piantare.
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