martedì 21 giugno 2005
Padre della terra e del cielo, perdonaci i nostri lamenti quando la primavera tarda a venire e quando la nostra estate incerta non risponde ai nostri comandi. La tua stagione sia fatta sulla terra come in cielo e non indurci in proteste ma liberaci dai nostri umori e dai nostri calcoli derisori. Perché è a Te che appartengono il tempo, il temporale e i salti dell'incomprensibile.
È uno scrittore e poeta svedese, Folke Wirén, a comporre questa parafrasi del Padre nostro. Essa è sostanzialmente legata a due nodi tematici. Il primo, negativo, è quello dell'atteggiamento recriminatorio che spesso domina anche nei credenti. Ci si lamenta di tutto, si è sempre insoddisfatti, si è quasi convinti che, se il mondo fosse retto secondo i nostri consigli, sicuramente andrebbe meglio. C'è un'insofferenza che si trasforma in scontentezza, in frustrazione e irrequietezza. Si perdono le virtù della pazienza, della tranquillità, della sopportazione e si vive in uno stato di sostanziale infelicità.Ecco, allora, l'altro nodo, quello della fiducia: «Sia fatta la tua volontà» dell'invocazione presente nel Padre nostro non è rassegnazione inerte, sottomissione sconsolata a un potere superiore, ma è il sereno abbandono a un progetto superiore, forse anche con perimetri incomprensibili, ma non destinato a tormentarci e ad annientarci. Come osservava Gesù: «Chi tra voi, se un figlio chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!"» (Matteo 7, 10-11). Perciò, spegniamo i nostri lamenti e accendiamo la nostra fiducia e attesa.
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