domenica 2 aprile 2017
Quando diciamo "al limite" intendiamo "semmai", "in ultima analisi", "se non si può fare diversamente". Una seconda scelta.
In realtà "al limite" oggi passa quasi tutto quello che conta. Si deve stare lì, al confine, per capire quello che sta capitando. Ci sono i limiti che non sappiamo più darci, sedotti da un onnipotentismo adolescenziale: un nuovo diritto per ogni desiderio. E il limite invalicabile che imponiamo all'altro, nella guerra fredda e solitaria dei diritti individuali. La mia libertà finisce lì, anziché cominciare proprio dove ti incontro.
I limes, i muri e le frontiere fittizie - tra le nazioni, tra le etnie, e dentro di noi, tra il corpo e l'anima - che tagliano dove non può esserci taglio, e dividono dove si dovrebbe stare insieme.
Il limite di un modello di sviluppo che chiede la definizione di nuovi dispositivi e di una nuova coscienza "conviviale", come la chiamerebbe quel geniale pensatore che fu Ivan Illich.
Alexander Langer fu attento lettore di Illich e non fece altro che traversare limiti e confini, su e giù, instancabile «viaggiatore leggero».
Trasportando, come scrive nella sua bella "Lettera a San Cristoforo" «il bambino sulle tue spalle da una parte all'altra del fiume. E si capiva che quella era per te suprema fatica e suprema gioia».
È li, al limite, che si deve stazionare.
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