domenica 1 maggio 2011
Ho perso tutto nell'avventura della mia vita, il mio onore però, grazie a Dio, è intatto. La mia colpa? Aver sempre detto la mia verità. Senza barare. Trovo indegno barare" Come san Tommaso ho voluto vedere per credere. Ho visto. Peggio per me!

Oggi in tutte le chiese del mondo si ripresenterà Tommaso, l'apostolo che ha voluto vedere per credere. È a lui che, con l'amarezza che gli è tipica, rimanda Louis-Ferdinand Céline in un'intervista del 1948, raccolta con altre nel volume Polemiche (ed. Guanda). Scrittore francese morto nel 1961, Céline è di solito classificato come un autore "scandaloso", anche per i suoi comportamenti politici durante la Seconda guerra mondiale. Ma qui, con uno scatto di orgoglio, afferma la dignità della sua sincerità, quel dire «la mia verità senza barare». Ciò che intendo oggi sottolineare è, però, quella finale sconvolgente: ho voluto vedere prima di credere - confessa - come ha scelto di fare l'apostolo - e purtroppo fu peggio per me.
Anche se è facile immaginare cosa intenda questo scrittore che ha celebrato il buio a cui si approda dopo il «viaggio al termine della notte», come dice il titolo della sua opera più celebre (1932), suggerisco per i miei lettori un'altra possibilità. Una volta che hai richiesto di vedere, non hai più alibi. C'è, quindi, un valore positivo anche nell'esigere una prova: non per nulla Cristo la concede a Tommaso. E, se riandiamo al passato, il re Acaz non vuole un segno divino proprio per evitare di credere e di impegnarsi (si legga Isaia 7,10-16). Kafka a proposito di Cristo confessava: «È un abisso di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi». Ecco, invece, l'invito di Tommaso: spalanca gli occhi! Anche a costo di precipitare e soprattutto di doverti decidere"
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