sabato 2 ottobre 2021
Che la pratica religiosa sia in costante calo, ormai da decenni, non è purtroppo una notizia. Le chiese sono sempre più vuote, e non sembra che il trend sia destinato a cambiare. I numeri parlano chiaro. Un fenomeno che coinvolge tutto il mondo cristiano, e che certo non risparmia il nostro Paese. Secondo Italiaindati, «tra il 2019 e il 2020, il 79,6% della popolazione residente italiana risulta cristiano (il 74,6% cristiano cattolico); il 15,3% è ateo o agnostico e il 5,1% professa una religione non cristiana. Rispetto al passato crescono fortemente gli atei o agnostici. Tra gli italiani, l'82,2% risulta cristiano (l'80% cristiano cattolico), il 16,3% ateo o agnostico e l'1,5% professa altre religioni. Tra gli stranieri, il 52% risulta cristiano (28,8% ortodosso, 17,7% cattolico), il 33,1% musulmano, il 4,8% è ateo o agnostico. Nel 2019, solo il 25% delle persone con più di 6 anni ha frequentato un luogo di culto almeno una volta a settimana; nel 2001 erano il 36%. Tra i cristiani cattolici, solo il 25,4% si professava praticante nel 2016».
Numeri davvero deprimenti, tanto più che escludendo i bambini, che incidono un po' oltre il
51% sui praticanti, quelle percentuali si fanno ancor più risicate. Ma sono numeri che chiedono risposte, senza lasciarsi scoraggiare, come ha detto di recente Francesco alla diocesi di Roma, che ha incontrato alla vigilia dell'inizio del Sinodo diocesano: «Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare... Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza».
La questione iniziale, secondo il Papa, sta dunque nello stile dei pastori, i quali «camminano con il popolo: noi pastori camminiamo con il popolo, a volte davanti, a volte in mezzo, a volte dietro. Il buon pastore deve muoversi così: davanti per guidare, in mezzo per incoraggiare e non dimenticare l'odore del gregge, dietro perché il popolo ha anche “fiuto”. Ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino, o per ritrovare la strada smarrita. Questo voglio sottolinearlo, e anche ai Vescovi e ai preti della diocesi. Nel loro cammino sinodale si domandino: “Ma io sono capace di camminare, di muovermi, davanti, in mezzo e dietro, o sono soltanto nella cattedra, mitra e baculo?”. Pastori immischiati, ma pastori, non gregge: il gregge sa che siamo pastori, il gregge sa la differenza. Davanti per indicare la strada, in mezzo per sentire cosa sente il popolo e dietro per aiutare coloro che rimangono un po' indietro e per lasciare un po' che il popolo veda con il suo fiuto dove sono le erbe più buone».
Per questo, allora, «non lasciate fuori o indietro nessuno... Ma occorre uscire dal 3-4% che rappresenta i più vicini, e andare oltre per ascoltare gli altri, i quali a volte vi insulteranno, vi cacceranno via, ma è necessario sentire cosa pensano, senza volere imporre le nostre cose: lasciare che lo Spirito ci parli». Perché una chiesa chiusa in se stessa certamente non avrà mai un futuro.
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