mercoledì 18 marzo 2020
Se c'è il sospetto del virus, il malato viene condotto in ospedale da solo. Moglie e figli non possono accompagnarlo in ambulanza. Magari non è grave, e ritornerà presto. Ma se bene non sta affatto, e se peggiorerà, andrà incontro al suo destino senza nessuno accanto. Certo, infermieri e medici cercheranno di alleviarne le sofferenze, pure nel sovraccarico annichilente di lavoro. Volti stanchi, gentili sotto le mascherine gli occhi: ma volti ignoti, e che non possono fermarsi troppo accanto a un solo malato. Attorno muri candidi, odore di disinfettanti, nel lieve rumore dell'ossigeno pompato nei polmoni sempre più a fatica: fino a quando sul monitor accanto al letto il tracciato aguzzo del cardiogramma rallenta, e, arreso, si fa linea retta.
Il gran silenzio che accompagna la morte di ogni uomo in queste ore non ha un figlio, o un fratello al capezzale. E se nelle ultime ore non si è più coscienti, non posso non pensare agli sguardi di quegli anziani che caricati sulle ambulanze partono dalla loro casa, dopo magari cinquant'anni di matrimonio, senza il marito o la moglie, né i nipoti tanto amati. Senza nessuno che tenga loro una mano.
Partire soli. Non è il destino che si sarebbero aspettati, e chissà quanto lo smarrimento, come di vecchi bambini abbandonati, affanna il respiro, nella corsa verso l'ospedale.
Bisognerebbe, ad ogni sirena di ambulanza, fermarsi e allargare il cuore a quegli sconosciuti che forse non torneranno. (Pregare per quelli di cui nemmeno sai il nome, è qualcosa che lascia uno strano bene addosso. Quasi si fosse aperta una fessura nella reclusione dell'Io, in cui in tanti viviamo).
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: