giovedì 6 dicembre 2018
Partecipo ad un corso di aggiornamento in psicofarmacologia, e l'ultimo argomento è stato la dipendenza da sostanze. Si è parlato di vecchie e nuove droghe, di come riconoscerne gli effetti, di come intervenire, e del proliferare inarrestabile di sostanze vendute su internet come incensi o fertilizzanti dai nomi suggestivi.
Ma in mezzo a questa infinita e preoccupante varietà, ha finito per colpirmi soprattutto il monotono ripetersi di ciò che motiva l'uso crescente di queste sostanze: ritorna con insistenza il desiderio di provare emozioni intense e sensazioni nuove, fuggendo alla noia della vita quotidiana. La noia, soprattutto, sembra il nemico più insidioso: noia come sentimento insopportabile di vuoto cui dare una risposta rapida e risolutiva, ma anche noia come mancanza di sensazioni ed emozioni intense, che facciano sentire vivi.
Le sensazioni e le emozioni, dunque, sono al centro della questione. Provare sensazioni ed emozioni intense sembra diventato un obiettivo primario, un fine a sé, come dimostra anche il campionario infinito di pubblicità che usano questo argomento come specchietto per le allodole. Sempre più misuriamo l'interesse di un evento o il valore di una relazione dalla temperatura emotiva che li accompagnano: siamo sicuri di amare qualcuno solo se ci ”sentiamo” innamorati, e una relazione finisce quando non ci regala più le emozioni che aspettavamo. Un rapporto è positivo se fa battere il cuore, negativo se rimane troppo a lungo nella zona grigia del ripetitivo e del quotidiano. Ciò che non è ”emozionante” ci sembra inautentico e privo di valore.
Ma cosa sono le emozioni?
Le emozioni sono uno stato della mente e del corpo insieme: tutto ciò che ci arriva attraverso i sensi, ci ”tocca” in modo piacevole o spiacevole colorandosi di emozioni, e segna il punto di partenza sia delle percezioni che delle idee.
Le sensazioni e le emozioni che le accompagnano sono all'origine un mezzo e una guida: la loro funzione primaria è quella di orientarci nei confronti dell'esperienza e di aiutarci a differenziare ciò che produce sicurezza e piacere da ciò che al contrario è fonte di ansia, insicurezza o paura.
Ma le sensazioni e le emozioni, per loro stessa natura, sono immediate e instabili; perché non si consumino come un fuoco di paglia ma possano svolgere la loro importante funzione di orientatori dell'esperienza è necessario lo sviluppo di un linguaggio che dia loro un significato.
Solo il linguaggio, con la sua funzione più lenta e riflessiva, ci permette di differenziare le emozioni, di appropriarcene, di attribuire loro dei significati, di finalizzarle alle relazioni. Solo il linguaggio può dare vera profondità alla nostra esperienza emotiva e ci permette di condividerla. Senza un linguaggio che le accompagna dalla superficie alla profondità dell'essere le emozioni si cancellano rapidamente, accompagnate da una voracità che ci lascia continuamente affamati; è come abbuffarci senza nutrirci: cibo che attira i nostri sensi senza alimentarci, e che dunque non soddisfa né la mente né il cuore. È una sorta di supplizio di Tantalo travestito da piacere: quel piacere fine a se stesso per il quale i nostri ragazzi si perdono nelle sostanze che promettono loro paradisi artificiali.
Il linguaggio degli emoticons, per quanto accattivante, non può più essere sufficiente.
Per questo è quanto mai necessario ripartire oggi da un alfabeto degli affetti: è necessario trovare parole che ci aiutino a capire le emozioni, a leggerle in noi stessi e negli altri, a dar loro valore e a condividerle; le emozioni infatti, per quanto intense, ci lasciano drammaticamente soli se non sappiamo come utilizzarle. Renderle sempre più intense non servirà a guarire la nostra solitudine.
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