Orwell e Weil per capire i nazionalismi
venerdì 16 marzo 2018
In questo periodo politico surriscaldato e fatto di contrapposizioni drastiche, culture oscillanti, etichette e concetti di contenuto ambiguo e vago, possono venire in mente alcune riflessioni provocatorie quanto elementari di due grandi scrittori politici del secolo scorso, George Orwell e Simone Weil. Vissero entrambi in decenni drammatici della storia europea, i vent'anni fra le due guerre, nel corso dei quali si videro gli effetti devastanti della prima guerra, cui seguirono la rivoluzione comunista in Russia e l'ascesa al potere di fascismo e nazismo, che prepararono un secondo gigantesco conflitto mondiale, conclusosi con la scoperta dei campi di sterminio tedeschi e con i bombardamenti atomici americani in Giappone. A più di mezzo secolo di distanza, la lucidità di quei due scrittori (tuttora poco capiti) non smette di sorprendere. Nel saggio Appunti sul nazionalismo, del 1945, Orwell comincia col fare una precisazione e una distinzione. La precisazione: «Per nazionalismo intendo soprattutto l'abitudine ad accettare il fatto che gli esseri umani possano essere classificati come gli insetti e che milioni e milioni di persone siano presuntamente etichettate come buone o cattive. Inoltre, cosa molto più importante, alludo all'abitudine di identificarsi con una singola nazione o altra unità, mettendola al disopra del bene e del male e non riconoscendo altro dovere che quello di favorire i suoi interessi». Orwell propone quindi un'importante distinzione. Il patriottismo non è nazionalismo. Il patriottismo è difensivo culturalmente e militarmente, esprime amore e attaccamento a un luogo e a un modo di vivere. Il nazionalismo è invece aggressivo e «inseparabile dal desiderio di potere», un potere che va sempre accresciuto. Tra le unità che creano identificazione ci sono o c'erano i partiti politici e le categorie di destra e sinistra, oggi così impoverite e manipolate che a qualcuno viene voglia di metterle da parte. Simone Weil scrisse nel 1943 una Nota sulla soppressione dei partiti politici, idea che tuttora scandalizza. Ma i partiti comunisti e fascisti, i più strutturati e i più efficienti nel colonizzare le coscienze, nel creare una fede cieca e aggressiva, avevano dimostrato di essere ottimi strumenti nelle mani di Mussolini, Hitler e Stalin. Secondo la Weil, in un'Europa ricostruita, i partiti non avrebbero dovuto creare legami di appartenenza tali che i singoli possano delegare l'uso del pensiero ai leader e dirigenti. In secondo luogo, il primo e unico scopo di ogni partito politico è la propria crescita di potere e prestigio, il resto è subordinato. Esiste, è esistito un «nazionalismo di partito» che invece di chiarire le idee le offusca o le uccide.
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