giovedì 29 novembre 2018
Salvatore Mazza
Alla fine la domanda da un milione di dollari è arrivata. Semplice, diretta, senza giri di parole: «Hai già pensato a cosa fare?». In che senso? «Non so, ma al tuo posto, con la Sla, io avrei già prenotato un viaggio in Svizzera». A farmela, via email, è stato un mio ex compagno di liceo, col quale spesso ci scambiamo lunghe missive che spaziano dalle cose più piccole ai massimi sistemi. C'eravamo incontrati qualche giorno prima; lui, che adesso vive fuori dall'Italia, era passato da Roma ed eravamo andati a prendere insieme un aperitivo. Rispetto all'ultima volta in cui c'eravamo visti io ero peggiorato parecchio; stavo già sulla sedia a rotelle, e avevamo parlato molto di questa situazione. E quando, qualche giorno dopo, arrivò la sua domanda devo dire che non mi sorprese più di tanto.
No, il viaggio in Svizzera non l'avevo prenotato. A dire il vero neppure ci avevo pensato, pur se devo ammettere che, soprattutto in quel primo mese insonne dopo la diagnosi, l'idea di "chiudere in fretta la pratica" non era poi tanto distante da me. Perché, come sempre, un conto è parlare in astratto di princìpi e situazioni, un conto del tutto diverso è vivere sulla propria pelle una condizione così estrema, così crudelmente definita da parole con un peso insopportabile, «malattia degenerativa a esito infausto». Una condizione che è una via a senso unico dove non puoi che peggiorare, e dove ogni giorno che ti svegli non sai dove troverai il coraggio per ripetere gesti che sai, alla fine, essere inutili, come la ginnastica sempre più faticosa, prendere medicine che non ti faranno comunque guarire... Serve più coraggio per questo o per prenotare il viaggio in Svizzera? Io francamente non posso rispondere. Anche perché quel viaggio non riesco a pensare di farlo: non per chissà quale ragione, ma perché ho scoperto che il coraggio, alla fine, non è un fatto personale. È il frutto della somma di quello che leggi negli occhi di tua moglie, delle tue figlie, delle sorelle, di tutte le persone che ti vogliono bene, compreso chi un giorno ti ha chiesto: «Hai già pensato a cosa fare?», e ha passato qualche ora, da lontano, a parlare insieme a te.
Non so dove sarei oggi senza tutte queste persone, e neppure posso sapere cosa potrei pensare. Però loro ci sono, sono imprescindibili da me, e comprendo la tragedia di chi tutto questo non ce l'ha. Per cui il punto non è se cedere o meno alla voglia di dimettersi da dolori e fatiche. Il punto è che domani ho sempre un sacco di cose da fare.
(6-Avvenire.it/rubriche/slalom)
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