mercoledì 25 luglio 2007
Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo che fa di uno un giornalista.
Autolesionismo o sincerità? Forse ci sono entrambe le cose in questa citazione che ho desunto da quel terribile scrittore austriaco che è Karl Kraus, nella sua accolta di aforismi Detti e contraddetti (1909). Eppure egli non solo era giornalista ma aveva anche fondato una rivista intitolata Die Fackel, «La fiaccola». Era ancora lui a sghignazzare affermando che «i giornali hanno con la vita all'incirca lo stesso rapporto che hanno le cartomanti con la metafisica». Devo, però, anch'io riconoscere che per fortuna l'autoironia è spesso un antidoto usato dagli stessi giornalisti per smitizzare il loro potere. Un mio amico, che è tra l'altro un'importante firma di un settimanale, scherza su di sé dicendo: «Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare».
Dato il colpo necessario all'orgoglio e alla superficialità della categoria, bisogna però riconoscere che «non avere un pensiero e saperlo esprimere» è una prassi abbastanza comune. Basta solo accendere la televisione e ascoltare un "esperto", soprattutto se psicologo o sociologo, per accorgersi della scarsità («stitichezza», diceva brutalmente un autore) di pensiero, avvolta in una frondosità di parole. Un po' tutti ci dedichiamo a chiacchiere, a giudizi, a valutazioni su argomenti dei quali abbiamo - ad essere ottimisti - solo una vaga cognizione. Finisco con un'altra battuta sui giornalisti (ma anch'essa valida per tutti): «Dicono una cosa che sanno che non è vera nella speranza che, se continueranno a dirla a lungo, sarà vera» (così Arnold Bennett, drammaturgo inglese).
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