giovedì 19 marzo 2020
Nel frattempo, mentre tanti soffrono e muoiono, mentre noi chiusi in casa ascoltiamo al tg bollettini come di guerra, nel frattempo è scoppiata la primavera, qui in Lombardia. "Scoppiata" è l'esatta espressione, perché anche quest'anno è accaduto quasi d'improvviso. Le gemme delle forsizie si sono aperte di colpo, oro che illumina anonime piazze di periferia. I ciliegi candidi e stranieri, in questa Milano dove ogni giorno sul parabrezza dell'auto si deposita una coltre di polvere scura. E i peschi, i peschi sono quelli che mi commuovono di più, perché sbocciano in una notte, insieme – come per un tacito ordine, o per un golpe, nella dittatura dell'asfalto. Il gatto di casa, pigro, si riscuote e dal balcone segue rapito, le pupille a fessura, il volo del merlo in cortile. Da predatore scaltro emette deboli miagolii rauchi, ad imitare il verso di un uccello: ma il merlo in un battito d'ali vola via, beffardo. Intanto tu, assorta sul balcone, noti in un vaso un germoglio mai seminato, portato dal vento; e ti rallegri del primo raggio di sole che viola la clausura dell'inverno, e colma la stanza. Sì, nel frattempo si è fatta primavera: ma una primavera invisibile, quasi perduta. Lei è arrivata, puntuale, ma noi la spiamo solo dalle finestre, pieni di nostalgia. Anche se alzando gli occhi, qui e là, a un balcone vedi qualcuno affaccendato a pulire le ringhiere nere dei fumi dell'inverno, prima di mettere fuori i gerani, e su certi davanzali un vaso di ciclamino è una piccola macchia fiammante sulla facciata grigia. Ci vorrebbe, ti dici, accanto a ogni letto d'ospedale un ciclamino così: come uno sciame di farfalle rosa radunate insieme, strette, radiose. Solo un modesto ciclamino da cinque euro: piccolo segno mite, per chi vuole vedere, di una bellezza più grande della morte.
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