venerdì 1 novembre 2019
A proposito di riscaldamento globale: molti atleti hanno accusato malori ai Mondiali di atletica leggera di Doha, in Qatar. Temperature elevatissime e tasso di umidità insopportabile: «Non si riusciva a respirare e il mio fisico è esploso» testimonia la maratoneta azzurra Sara Dossena.
Nella gara dei 5.000, Jonathan Busby di Aruba si accascia sfinito a pochi passi dal traguardo. L'avversario Braima Suncar Dabo della Guinea Bissau lo soccorre e lo solleva in un abbraccio, aiutandolo a percorrere gli ultimi metri.
Mi viene in mente un'altra gara, sempre una corsa, una piccola competizione scolastica tra bambinetti delle medie.
Due migliori amici, uno un po' brocco e l'altro che vola. Il brocco capisce che si piazzerà malissimo mentre il suo amico ha grandi chance. Decide quindi di sgambettarlo e lo tira per la maglia, rallentandolo.
A Doha, uno che aiuta il suo nemico. A scuola, uno che boicotta il suo amico.
A che cosa dovremmo riservare il nostro stupore? Alla generosità dell'atleta mondiale, o alla slealtà del ragazzino che non tollera la sconfitta?
I media celebrano il gesto di Suncar Dabo: questo è il vero sport, l'umanità prima di tutto. Ma non è forse un problema il fatto che la compassione per l'altro che soffre, tenere la sua bisognosità davanti a tutto ci appaia come l'eccezione alla regola della vittoria solitaria?
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