giovedì 2 giugno 2016
Dire che Bruce Springsteen è il rock, è ripetere pigramente un'ovvietà. Bruce è piuttosto un visionario, un poeta, il grande narratore del Romanzo Americano. Nel complesso della sua opera si possono rilevare tanto un'indecisione tra versi traboccanti di immagini astratte, flash accesi su paesaggi irriconoscibili, e colpi di un pennello narrativo che ci fanno balenare storie con una precisione identica a quella della luce che i minatori usano per penetrare in fondo all'oscurità. Nell'uno come nell'altro caso assistiamo però allo stesso, prodigioso, lavoro sul linguaggio, alla stessa oceanica successione, a un realismo liberato per istinto, come a ricordarci che lui è un rocker, chiaramente, ma è anche un nipote di Walt Whitman, di John Steinbeck e di Flannery O'Connor. Chi trovasse eccentrico un titolo come questo, La teologia di Bruce Springsteen, che cosa mai penserà quando scoprirà, disseminata per varie geografie, l'esistenza di una vasta collezione di saggi teologici sul tema! E sono testi che vengono alla luce non solo in micropubblicazioni per fans ma su riviste indiscutibili come il “Theology Today Journal” dell'Università di Princeton o “La Civiltà Cattolica”, la più importante ed emblematica delle riviste dei gesuiti. Dove sta l'interesse per Bruce Springsteen da questo punto di vista? C'è un aspetto biografico, naturalmente. Le radici irlandesi, l'educazione familiare, la scuola cattolica frequentata da bambino, l'immaginario biblico trasmessogli con naturalezza dal contesto culturale, poi la rottura con quel mondo e, successivamente, un nuovo incontro, riconfigurato, con accenti ormai ardentemente singolari, ma con un ritorno ai riferimenti religiosi originari come grammatica per esprimere ciò che siamo sulla terra. Impelagati nella più cruda quotidianità urbana o perduti nei boschi, tra infamia, sogno e rabbia, i protagonisti delle canzoni di Bruce guaiscono per una fame di riscatto, per l'attesa di chi li potrà liberare dal male. Mentre declamano le loro (le nostre) minuscole storie d'amore come monumentali epopee di grazia e redenzione. Penso non interessi tanto catalogare religiosamente l'universo del “Boss”, quanto avvertire in esso l'inclassificabile trepidazione di Dio. Ricordo diversi passi in cui l'inquietudine disegna la linea di fuoco di una salvezza desiderata, anche se non raggiunta. Penso all'album The River (1980), quando Bruce scarica in lente lingue di fuoco questo frammento di preghiera: «Voglio che Dio mi mandi una parola/ mandi una cosa qualsiasi che io abbia paura di perdere». O a Nebraska (1982), quando al volante, in una notte di pioggia, chiede che qualcuno ascolti il grido: «Liberami dal nulla». O a Tunnel of Love (1987), con il cuore a pezzi per la fine di un amore ma ancora disposto a trasformare il dramma in invocazione: «Questa notte il nostro letto è freddo/ Mi sono perso nell'opacità del nostro amore/ Dio abbia pietà dell'uomo/ Che dubita di quel che è sicuro». In questo disco, Springsteen canta che una parte di lui tende a fare cose che egli stesso non capisce. E le espressioni che usa non sono lontane dal lamento di san Paolo nella Lettera ai Romani: «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Rm 7,24). Sulla luce, Bruce avrà qualcosa da dire più tardi, nell'album Lucky Town (1992), quando la gioia della paternità lo sospingerà a quel vero salmo di giubilo che è la canzone Living Proof: «Una notte d'estate, in una stanza cupa/ Giunse una piccola parte della luce immortale del Signore/ gridando come se avesse inghiottito la luna infuocata / Nelle braccia di sua madre c'era tutta la bellezza che potessi sopportare/ Come le parole perdute di una qualche preghiera/ che non riuscivo mai a fare». Anche se poi, nel disco successivo, tornano a mordere i vecchi dubbi: «Gesù mio, il tuo amore misericordioso e la tua pietà/ questa notte, perdonami, non riescono a colmarmi il cuore». Scrivere la poesia di Dio per cancellare la poesia di Dio. Cancellare la poesia di Dio per scrivere la poesia di Dio. O, come insegna il maestro Bruce Springsteen, «It takes a leap of faith to get things going». Ci vuole un atto di fede, per tirare avanti.
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