“Misura d’uomo” addio: vince la “macchina mondiale”
venerdì 16 giugno 2023
L’espressione “a misura d’uomo” sembra sparita. O una tale misura non interessa più, o ci si è resi conto che ormai di cose a misura di essere umano ce ne sono ben poche e forse in futuro ce ne saranno anche meno. Se gli individui reagiscono male, nevroticamente, narcisisticamente, istericamente e perfino con violenza, è per un istinto primordiale di autodifesa e autoaffermazione. La globalizzazione degli ultimi decenni sembrerebbe aver dilatato lo spazio della vita personale potenziando e velocizzando la comunicazione telematica. In realtà ci si sente sempre più schiacciati e impotenti proprio perché l'intero pianeta ci sta addosso quotidianamente e ognuno di noi sa di non contare, di non potere quasi nulla. Se si tende a semplificare brutalmente idee e conflitti è anche perché la complessità e complicazione della società è enormemente aumentata. Come disse Günther Anders nel suo attualissimo libro L'uomo è antiquato (1956, 1980), «il mondo ci viene fornito a domicilio», con tutti i suoi pericoli e i suoi poteri. Le grandi imprese, organizzazioni e istituzioni internazionali, che danno forma alla nostra vita e la condizionano in partenza, riducendo a poca cosa l’autodeterminazione personale, locale e nazionale, sono giganti inaccessibili all’uomo comune. I mutamenti di struttura e dimensione delle superburocrazie continentali trasmettono all’individuo la sensazione di essere in trappola. Tutto è troppo complesso e distante perché si possa credere che le proprie ridotte possibilità di scelta arriveranno a influenzare o indirizzare società e storia. È vero che sentirsi liberi di scegliere è un dovere morale che ci rende giustamente responsabili delle nostre azioni, per quanto minuscoli ne siano gli effetti. Ma come ha detto il sociologo americano Wright Mills più di mezzo secolo fa, «il processo di formazione della storia anticipa la capacità degli esseri umani di orientarsi in esso seguendo i propri ideali». Dovremmo essere tutti degli esperti di economia, finanza, ingegneria, programmazione urbana, biochimica, norme giuridiche e procedure burocratiche per capire almeno un po’ come funziona la “macchina mondiale” che abbiamo creato e che ci sovrasta. La forma del vivere ci viene imposta ogni giorno dalle imprese industriali e dall’economia della crescita ininterrotta. Eppure il “come vivere” è una cosa essenziale che riguarda da vicino ognuno di noi e continua a essere “a misura d’uomo”. Capire come vivere dovrebbe essere la prima materia di studio in tutte le scuole, ma non mi pare che se ne parli molto.
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