martedì 9 marzo 2004
O quanta species - inquit - cerebrum non habet. Oh che maestoso aspetto - disse - ma non ha cervello! Ho ancora tra i libri più cari un'edizione ottocentesca illustrata delle Favole di Fedro, il poeta latino nato in Grecia attorno al 15 a.C., fatto schiavo a Roma e liberto di Augusto, autore di 15 libri di favole, delle quali sono giunte a noi solo 123. Sfoglio queste pagine che mi ricordano le ormai remote medie col latino: il libro mi fu regalato appunto dopo la terza media. M'imbatto nella favola della volpe e della maschera e il verso citato già anticipa il succo della lezione morale del testo, lezione che forse mai come ai nostri giorni è parsa tanto pertinente. Non è forse, il nostro, il tempo dell'apparire, dell'ostentare tutto, dal corpo alla coscienza, senza pudore e intimità? Io, però, vorrei mettere l'accento proprio su ciò che scopre la volpe smuovendo la maschera, ossia l'assenza di cervello. A furia di combattere le ideologie, non ci siamo forse ridotti all'acqua calda, cioè all'ovvietà, alla banalità, al rinsecchimento del pensiero? Si fa strada, così, la stupidità, l'irrazionalità, il luogo comune, il vaniloquio. Persino l'ignoranza è quasi una medaglia al valore da mostrare: basti solo assistere a certi quiz televisivi. Ma c'è un'altra considerazione che vorrei fare riguardo alla stupidità e la affido alle parole dello scrittore austriaco Robert Musil (1880-1942) nel suo capolavoro incompiuto
L'uomo senza qualità: «Non esiste una sola idea importante di cui la stupidità non abbia saputo servirsi, essa è versatile e può indossare tutti i vestiti della verità. La verità, invece, ha un abito solo e una sola strada, ed è sempre in svantaggio».
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