Londra, la donna nera e il gorilla: salviamo il "book" di Butturini
lunedì 14 dicembre 2020

«Ho fotografato una donna nera, chiusa in una gabbia trasparente; vendeva biglietti per la metropolitana: una prigioniera indifferente, un'isola immobile, fuori dal tempo nel mezzo delle onde dell'umanità che le scorreva accanto e si mescolava e si separava attorno alla sua prigione di ghiaccio e solitudine». E un gorilla in gabbia nello zoo di Regent’s Park «che riceve con dignità imperiale sul muso aggrottato le facezie e le scorze lanciategli dai suoi nipoti in cravatta». Le due foto sono del 1969. Due immagini di una potenza comunicativa straordinaria. A scattarle e a descriverle è stato Gian Butturini, grafico e interior designer che quell’anno decise di aprire una nuova pagina della propria storia, superando la Manica e fotografando Londra fuori dagli stereotipi, cogliendone tutte le sue contraddizioni, con un occhio innovativo, avanguardista. Foto che resero il libro London by Gian Butturini – tirato in poche copie - un “caso” nella comunità dei fotografi e aprirono la strada alla carriera dell’artista nato nel 1935 a Brescia, dove morirà nel 2006. Nel 2017 Damiani, raffinata casa editrice bolognese, ha ristampato il libro con la prefazione dell’acuto e ironico fotoreporter britannico Martin Parr che una decina di anni prima era stato rapito dal libro di Butturini: «Solo guardando la copertina – si legge nel suo testo – pensai che dovesse essere un grande libro. Quando ho girato le pagine, con la sua grafica forte e le immagini sgranate, mi fu ampiamente chiaro che avevo per le mani un gioiello trascurato. Quel che mi sembrò ancora più emozionante era che questo libro fosse scivolato sotto il radar rimanendo totalmente sconosciuto nella città che così abilmente ritraeva». L’anno prima, nel 2016, Parr aveva curato una mostra alla Barbican Gallery di Londra per esplorare tutta la questione dei fotografi stranieri che avevano lavorato nel Regno Unito e l’opera di Butturini era ben rappresentata. «Così ora il gatto è fuori dal sacco e il libro è conosciuto e apprezzato dal pubblico londinese», scriveva ancora Parr. La riscoperta dunque di Butturini. Postuma ma straordinaria. Il riconoscimento di una carriera dignitosa e importante, senza grandi clamori.

Le foto dello scandalo che hanno portato al ritiro del libro 'London'. Ora una mostra restituisce dignità al lavoro del fotografo italiano

Le foto dello scandalo che hanno portato al ritiro del libro "London". Ora una mostra restituisce dignità al lavoro del fotografo italiano - Archivio Gian Butturini

La favola purtroppo non è finita qui. Perché nel tempo della post-verità (e della post-fotografia) dei social e del digitale, della dittatura dei like, quel libro ritrovato è balzato suo malgrado al centro di un clamoroso – questa volta sì – caso mediatico. Nel maggio del 2019, Mercedes, una giovane studentessa britannica nera, si è scagliata via Twitter contro l’accostamento delle due fotografie – la signora che vende biglietti e il gorilla in gabbia –, tacciandolo di razzismo e dando così il via a una assurda campagna social, facendo finire quel lavoro nel tritacarne della Cancel Culture. Mercedes si è fermata alle due foto, decontestualizzate, senza probabilmente leggere le didascalie con cui apriamo questo articolo, senza avere idea del senso del lavoro e della storia di Butturini, protagonista di una fotografia “contro”: contro le ingiustizie, contro le diseguaglianze sociali, il razzismo, le guerre, le morti bianche sul lavoro, contro i manicomi a fianco di Basaglia. Eppure quelle foto e la dignità di un uomo sono andate in pasto al popolo ”sovrano” di Internet. La cosa è montata al punto che Parr è stato costretto a chiedere scusa, a dimettersi dalla direzione artistica del prestigioso Bristol Photo Festival e a chiedere addirittura il ritiro del libro. La censura, insomma. Un racconto di umanità straordinaria caduto nella rete dell’approssimazione, delle fake-news, dell'impietoso “mi piace – non mi piace”, dell’odio facile, dell’apparenza ingannevole. Cinquant’anni dopo, quelle foto di una Londra diversa, sono le foto dello scandalo. Sono come i “buuu” allo stadio. Foto razziste. L’esatto contrario di quello che rappresentano e che testimoniano. Ma la rete ha deciso la sua narrazione.

I figli del fotografo, Marta e Tiziano, che hanno salvato dal macero le copie e hanno costituito l’Associazione Gian Butturini, stanno da tempo orgogliosamente conducendo un’operazione verità. E hanno ora promosso una mostra – curata da Gigliola Foschi – per restituire la dignità umana e intellettuale a Gian Butturini, all’uomo prima che al fotoreporter, «che usava la macchina fotografica come un grido di speranza contro le ingiustizie, impegnato a denunciare disuguaglianze, disagi, povertà, dolori, umiliazioni, guidato dalla convinzione che le immagini abbiano una forza intrinseca capace di abbattere i muri, censure e conformismi», evidenziano Marta e Tiziano, sbalorditi per quello che è successo alla memoria del padre. Trenta foto di quel servizio sono esposte allo Spazio d’Arte Scoglio di Quarto a Milano, fino al 23 dicembre, in una mostra visitabile anche online in uno slide-show 24h su 24 con visioni e commenti, collegandosi al sito www.gianbutturini.com. Una “campagna” di verità sostenuta anche dai fotografi Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin e Francesco Cito che si sono fatti fotografare con il libro in mano (il book si può ricevere sostenendo l’Associazione) e parteciperanno anche a eventi in streaming. «Butturini – scrive la curatrice – racconta la Londra di fine anni Sessanta da una prospettiva nuova e non patinata. È un diario di immagini spontanee e autentiche, vive e graffianti, di giornate vissute intensamente girando per la città tra giovani della Swinging London, ragazze in minigonna, drop-out che si fanno di eroina, immigrati, neri, emarginati, abitanti della City che paiono esistere in un mondo a parte dove tutto è ‘per bene’. Butturini crea immagini dirette, sgranate, ombrose o troppo schiarite, ma anche ritagliate, manipolate, accostate a elementi grafici, a frammenti di testi...». Uno sguardo profondo e innovativo. L’avanguardia di un fotografo nel 1969. Un lavoro troppo “rivoluzionario” per lo sguardo spesso superficiale e filtrato dei social che ha solo bisogno di un capro espiatorio per “esprimersi”. Salviamo il book di Butturini. Salviamo la sua umanità e la sua dignità. Salviamo la donna nera dalla «prigione della solitudine» mentre il mondo reale le scorre accanto indifferente. Salviamo il gorilla dalle «scorze» digitali lanciategli dai «nipoti» con la «cravatta» (o anche no), ma di certo con lo smartphone.

Una foto e 981 parole.

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