Lo iato fra vera conoscenza e i teledibattiti sul Covid
venerdì 8 gennaio 2021
Nel corso dell'ultimo anno abbiamo visto un po' più di televisione, sia per le notizie che per le discussioni, i talkshow, le tavole rotonde. A lungo andare una certa sazietà si fa sentire. Abbondano le stesse presenze degli stessi invitati. Abbondano le ripetizioni degli stessi argomenti e delle stesse polemiche. Al primo posto le due facce della crisi drammatica che vive l'intero mondo: da un lato la lotta contro il virus, dall'altro i suoi effetti distruttivi sull'economia e la società. È ben noto che non si possono isolare i due aspetti. Eppure un certo conflitto fra i rimedi sanitari e i rimedi economico-sociali ogni tanto emerge. Perché l'economia non crolli, provocando una sempre maggiore mancanza di lavoro e un impoverimento insostenibile, è utile far circolare lavoratori e consumatori; ma più gente circola e più crescono le possibilità di contagio. Ovviamente è così. Chi governa deve saper dosare decisioni e provvedimenti con grande accortezza, duttilità e tempismo. Cosa non facile per nessuno, in Italia e nel mondo. Eppure nelle discussioni televisive c'è sempre qualcuno che trova il modo di urlare agli altri le ragioni dell'economia contro quelle della sanità. Si sa che urlare fa audience e incrementa il protagonismo di chi si agita e gesticola gonfiando il proprio io. Anche ai conduttori questo non dispiace, anzi. Teatralizzare e rendere agonistico il dialogo attira e eccita il pubblico. Spesso però lo disgusta. La cosa che si è notata di più mi sembra comunque un'altra: è la singolare pacatezza e cautela di medici, virologi e biologi. In precedenza scienziati e ricercatori si vedevano poco in tv; ora ci siamo abituati al loro modo civile e scrupoloso di esprimersi, il che rende più insopportabili le esibizioni di aggressività fine a se stessa di opinionisti, politici e pensatori. Evidentemente le scienze della natura, che a volte appaiono pericolosamente incapaci di giudizi morali e sociali, possono d'altra parte incoraggiare o imporre una maggiore serietà a chi è abituato a manipolare con troppa disinvoltura idee correnti e frasi fatte. Viene in mente che a fine Settecento, indicando le due cose per lui fondamentali, il più prudente dei filosofi moderni, Immanuel Kant, disse che erano «il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me», cioè la maestà misteriosa della natura da contemplare a da indagare, e il dovere di non trattare mai gli esseri umani come strumenti e non come scopi in se stessi. Senza conoscenza razionalmente fondata e altruismo sociale, nessun dialogo, nessuna comunicazione sono possibili e hanno senso.
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