mercoledì 9 maggio 2007
Dio è il Dio della libertà. Egli che possiede tutti i poteri per costringermi, non mi costringe. Egli mi ha fatto partecipe della sua libertà. Io lo tradisco, se mi lascio costringere. Nato a Vienna nel 1878 e morto a Gerusalemme nel 1965, esponente del sionismo, cantore dell'ebraismo mitteleuropeo dei Chassidim, i "pii" seguaci di una corrente della spiritualità giudaica sorta nel '700, Martin Buber è stato un pensatore e uno scrittore affezionato al messaggio biblico. Dal suo Gog e Magog (1949), opera che prende il nome da una figura simbolica del profeta Ezechiele (cc. 38-39), ho tratto questa bella considerazione sulla libertà, un tema sempre importante da meditare anche se spesso banalizzato, calpestato subdolamente o deformato. Non per nulla un drammaturgo tedesco dell'Ottocento, Georg Büchner, affermava che «la statua della libertà non è ancora fusa, il forno è sempre rovente e tutti possiamo ancora scottarci le dita». Il grande Dostoevskij ricordava che Cristo non era sceso dalla croce quando gli astanti gli chiedevano di farlo con un miracolo così da credere in
lui: egli, infatti, voleva un'adesione libera e non un'attrazione basata sulla costrizione del prodigio e del clamore. Educare ed educarsi a giudicare, a scegliere con coerenza, a vincere i condizionamenti, soprattutto quelli sottili e impalpabili, fa, allora, parte di una fede vera che è qualcosa di diverso da una religiosità tradizionale e abitudinaria. E la libertà autentica è costosa, richiede impegno, onestà: chi non ricorda la grande tentazione dell'Israele nel deserto col suo desiderio nostalgico di ritornare nel quieto vivere della schiavitù faraonica ove, bene o male, carni e cipolle erano assicurate? Le parole di Cristo sono sempre valide: «La verità vi farà liberi» (Giovanni 8, 32).
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