domenica 24 luglio 2011
L'anziano monaco interrogò l'aspirante novizio: «Se tu avessi tre monete d'oro, le daresti ai poveri?». «Di tutto cuore, padre!». «E se tu avessi tre monete d'argento?». «Molto volentieri le darei». «E se avessi tre piccole monete di rame?». «No, non le darei!». Stupito, il monaco gli chiese: «Perché mai?». Il novizio rispose: «Perché io ho tre monete di rame!».

Come aveva ragione Gesù quando colpiva la potente attrattiva che esercita la ricchezza con quel celebre detto: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli» (Matteo 19,24)! Si è fatto di tutto, anche da parte di qualche esegeta, per ridimensionare la forza del paradosso ago-cammello, ricorrendo a un'inesistente porta minuscola a foggia di cruna d'ago a Gerusalemme o a un nodo marinaro. In realtà, il giudaismo conosceva il contrasto metaforico ago-elefante per indicare un impossibile connubio, analogo a quello che Gesù delinea tra le due divinità: il vero Dio e l'idolo Mammona (Matteo 6,24), laddove è curioso notare che questo vocabolo aramaico, che indica la ricchezza, contiene la stessa radice dell'amen, il verbo ebraico della fede.
Sono, quindi, due divinità e due fedi che si confrontano e che contendono tra loro, e quell'aspirante novizio — nel racconto dei Padri del deserto egiziano che abbiamo sopra evocato — con sincera spontaneità rivela quanto sia arduo rinunciare al possesso, anche se modesto. Tante proclamazioni retoriche di distacco e di generosità si scontrano poi con gesti egoistici contrabbandati come parsimonia e misura. Per questa strada si approda alla porta, dorata ma bloccata, di quel vizio che si chiama avarizia, della quale proponiamo ai nostri lettori la brillante definizione coniata da san Bernardo: «Vivere in povertà per paura della povertà»!
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