martedì 31 ottobre 2006
Come un bambino che, avendo offesa la madre, si allontana - sempre di più, sempre di più - dalla casa. Vi ritorna a sera, battuto e stanco, e trova che sua madre non può più - anche se lo volesse - perdonargli: è morta. Allora piange. Non è una poesia. È una verità: una piccola, semplice, umana verità.A scrivere questa «piccola, semplice, umana verità» è uno dei migliori poeti italiani del secolo scorso, Umberto Saba, in un volume di prose ormai dimenticato, Scorciatoie e raccontini del 1946. Egli applica questa parabola a Napoleone: si dice, infatti, che in fin di vita non lo tormentasse tanto «il pensiero degli uomini che aveva fatti uccidere in guerra, ma il rimorso - che cercava per quanto possibile, di allontanare dalla coscienza - di aver abbandonato Giuseppina», la moglie. Anche se non condividiamo l"insensibilità morale dell"imperatore nei confronti della guerra, ci sembra significativo il suo atteggiamento, illustrato dal poeta triestino.C"è, infatti, per tutti un rimpianto quando perdiamo una persona cara e riguarda le parole non dette a chi si è amato. Certo, ci spiace la durezza oppure la superficialità con cui abbiamo trattato i nostri cari, ma soprattutto ci addolora di non aver espresso un sentimento, di non aver chiesto un perdono, di non avere esplicitato un affetto.  Proviamo nei prossimi giorni, tradizionalmente dedicati alla memoria dei defunti, a ritessere nella memoria (e, per chi crede, nella fede) un dialogo con la persona scomparsa che abbiamo amato di più, per dirle ciò che abbiamo per pudore o per indifferenza taciuto o lasciato nell"implicito. Soprattutto quando potevamo dissolvere un dolore e cancellare una lacrima da noi causata, e non l"abbiamo fatto.
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