martedì 20 novembre 2007
La modestia è per il merito quello che sono le ombre per le figure di un quadro: essa gli dà forza e rilievo.
Così scriveva nei suoi Caratteri (1688) lo scrittore moralista francese Jean La Bruyère. La modestia è l'antipodo della superbia ed è la sorella dell'umiltà; la si possiede quando non si sa (e ovviamente non si dice) di possederla. Virtù difficile ai nostri giorni che privilegiano le apparenze, l'ostentazione, l'inganno pubblicitario. C'è, infatti, una sfilza di comportamenti pubblici e privati che militano contro la modestia e che sono apprezzati in modo protervo: penso alla sfrontatezza impudente che ti lascia senza parole, alla sfacciataggine maleducata, all'arroganza spavalda, a tutti gli eccessi di cui siamo spesso testimoni impotenti e talora persino conniventi.
Io, però, nella frase di La Bruyère vorrei sottolineare un tratto dell'immagine usata, cioè le ombre. È noto che nell'arte l'ombreggiatura è fondamentale per far risaltare una figura o un bagliore. Il chiaroscuro è uno straordinario strumento di profondità pittorica e di emozioni interiori: pensiamo solo all'arte di Caravaggio col suo impasto di luce e penombra. Tutto questo vale anche per la vita. Guai a rimanere troppo esposti ai riflettori, a non sapersi talvolta ritirare e nascondere, a non avere uno spazio solo per sé. Anzi, direi qualcosa di più. Come la luce risalta proprio perché c'è la tenebra, così si è pronti ad ammirare una persona non perché è necessariamente perfetta, ma perché ha anche una linea d'ombra, un limite confessato. Per questo, come dice il titolo di un famoso libro di Borges, bisognerebbe fare un «elogio dell'ombra».
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