domenica 25 agosto 2013
Malala era una bambina del Pakistan che andava a scuola e voleva studiare. Era più decisa e forte delle altre bambine e per questo fu colpita dalle pallottole dei taleban proprio mentre andava a scuola, nel 2012. I suoi assassini, i taleban che l'hanno condannata a morte e si ripromettono di portare a termine il loro compito, l'hanno definita «il simbolo degli infedeli e dell'oscenità». A differenza di tante altre studentesse assassinate, Malala è sopravvissuta e usa questa sua seconda vita per diffondere le sue idee. «Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo. Impugniamo i nostri libri e le nostre penne, che sono le nostre armi più potenti», ha detto mentre consegnava al segretario dell'Onu, a New York, una petizione per chiedere il diritto all'istruzione per tutti firmata da quattro milioni di persone. Mi tornano alla mente le fotografie delle bambine afghane che andavano per la prima volta a scuola dopo la sconfitta, purtroppo effimera, dei taleban: sorrisi gioiosi, pieni di attesa, volti illuminati di speranza. Quanti di quei sorrisi si sono spenti, quante di quelle speranze sono state infrante, non lo sappiamo. Ma Malala, avvolta nello scialle rosa di Benazir Butto, si impegna a cambiare il mondo.
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