La vera fecondità
martedì 11 febbraio 2025
La Bibbia lo testimonia in molti suoi luoghi: molto spesso la società dell’antico Israele misura la felicità dall’abbondanza della progenie. Avere una discendenza numerosa è visto come il segno indubitabile della benedizione divina. Andando in senso contrario a questa condivisa evidenza sociale, il libro della Sapienza non esita a buttare lì qualche beatitudine provocatoria: «Felice invece è la sterile incorrotta, che non ha conosciuto unione peccaminosa: avrà il frutto quando le anime saranno visitate. E felice l’eunuco la cui mano non ha fatto nulla d’ingiusto e non ha pensato male del Signore» (Sap 3,13-14). Il rovesciamento non è tuttavia così radicale come potrebbe sembrare: se la donna sterile e l’eunuco, due figure evidenti di infecondità, possono essere chiamati felici, non è perché felicità e fecondità non siano tra loro legate, ma perché si è compreso male il significato della fecondità. «Portare frutto», il primo comandamento che nella Bibbia Dio rivolge all’uomo (Gen 1,28), non significa soltanto, e nemmeno in primo luogo, riuscire a riprodursi. © riproduzione riservata
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