giovedì 2 novembre 2006
Fratello, se vieni a visitare la mia tomba, non ti dimenticare della tua bara. Non è giusto, però, addolorarsi per l"unione con Dio. Dopo la mia morte non cercare la mia tomba sulla terra: la mia tomba è nel cuore di coloro che amano.  Più di una volta anch"io ho sostato a Konya, in Turchia, sotto la grande cupola verde del "monastero" musulmano ove si leva il cenotafio di Gialân al-Dîn Rûmî, il grande poeta mistico del XIII sec. Accanto si leggono le parole che ho sopra citato e che egli aveva dettato come sua ideale epigrafe. Le facciamo risuonare in questa giornata dedicata alla memoria dei defunti perché esse contengono una fiducia che possiamo condividere e rischiarare alla luce della speranza cristiana. Due sono i messaggi che Rûmî vuole lasciare. Certo, il distacco dalla consuetudine terrena con la persona amata genera pianto e dolore. Ma, ammonisce il «Maestro» (come veniva chiamato), in realtà il fedele, oltre la soglia della morte, è accolto dalle braccia di Colui che l"aveva creato. Non per nulla un"antica preghiera musulmana invoca: «Dio mio, concedimi di morire nel desiderio di incontrarti. Concedi di prepararmi al giorno dell"Incontro». Ecco, la morte non è un estuario nel nulla, ma l"Incontro per eccellenza con Dio nella casa del suo regno. C"è, poi, un altro messaggio: certo, desideriamo avere un bel sepolcro per noi e per i nostri cari. Ma la tomba più bella è nel cuore di chi ci ha amato. Non è, questo, un freddo sepolcro di marmo, ma un grembo vivo in cui ancora viviamo, amiamo e siamo amati.
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