domenica 5 giugno 2005
Non scocciarmi col tuo "amore per l'umanità". Dimmi piuttosto come ti comporti con tua suocera o col vicino che ti assorda col suo giradischi.
È da dieci anni che è morto, eppure noi suoi amici lo ricordiamo ancora con affetto per il vigore della sua testimonianza di fede, di intelligenza e di cultura. Parlo dello scrittore Italo Alighiero Chiusano (1926-1995) che, accanto a pagine altissime di critica letteraria e di prosa, sapeva allineare, soprattutto in una rubrica che teneva sul mensile Jesus, riflessioni mordenti, sferzanti, ironiche, sempre però pacate e autentiche. Ne ho scelto una, quasi a caso. A partire da noi sacerdoti, passando attraverso uomini pubblici e persone semplici, quante volte - in indubbia buona fede - si esalta l'«amore per l'umanità». È quasi un motto adatto a tutte le situazioni, capace di placare i (ri)morsi della coscienza e di generare quel "buonismo" che effettivamente è talora un po' ipocrita.L'amore in realtà è tutt'altro che generico ed etereo. Esige di essere verificato con la suocera petulante, col vicino maleducato, con l'anziano noioso, col bambino piagnucoloso, ossia con quel terreno della quotidianità ove stanno ben piantati i piedi della vera vita. Amare non è guardare nel sole per restarne abbagliati, diceva lo scrittore austriaco Robert Musil tanto caro a Chiusano, ma è scoprire la vita illuminandola con l'amore. È, dunque, una scelta paziente e costante che deve piegarsi a tutte le curve dell'esistenza, senza sognare di librarsi in alto, in un volo lieve e fulmineo, come pure può accadere in qualche momento di grazia.
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