mercoledì 21 marzo 2007
Volare non significa solo muovere le ali, ma riuscire a muoversi e a restare in aria senza sostegno. Ecco un aforisma che proviene dalla tradizione sapienziale indiana. Mi fa pensare indirettamente a chi, come me, non sa nuotare: si ha un bel dire che si devono muovere braccia e gambe; appena immersi nell'acqua, ci mettiamo certo ad agitare le estremità ma lo facciamo
in un modo tale che non solo non si resta a galla ma si piomba irrimediabilmente e velocemente verso il basso. Così è per il volare e così è per l'esistenza sia spirituale sia anche quotidiana. Non basta agire forse anche con frenesia e appassionatamente, è necessario usare intelligenza e sapienza, ponderazione e riflessione, concentrazione e addestramento. Ai nostri giorni sembra, invece, in molti campi prevalere l'approssimazione, il pressappochismo, la faciloneria, pronti poi a incolpare gli altri o la società se cadiamo miseramente. Ma l'immagine del volo mi fa venire in mente per assonanza un detto del poeta francese ottocentesco Paul Verlaine: «Meglio essere una rondine che una piuma». Questa comparazione, che ha un popolare risvolto primaverile (considerata la data odierna), ci permette un'ulteriore riflessione proprio sul volare. Certo, sia la rondine sia la piuma si librano nell'aria, ma la differenza è netta: la rondine sceglie la traiettoria, naviga contro il vento opponendogli il suo petto carenato; la piuma, invece, è sospinta da ogni corrente d'aria, è succube a ogni soffio. Una domanda s'impone: e noi come siamo? Siamo rondini libere e sicure o piume agitate da ogni brezza e variabilità?
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