venerdì 13 marzo 2020
Parlando di come sono cambiate le classi sociali al giorno d’oggi, un amico ne ha proposto ironicamente questo quadro, in sostituzione di quello classico tra nobili, borghesi, piccolo–borghesi, e proletari divisi a loro volta in artigiani, operai, contadini e impiegati: nababbi, super–ricchi, ricchi e riccastri, una marea di piccolo–borghesi (di cui la maggior parte impiegati), operatori sociali e culturali, proletari senza più voce, nuovi proletari (gli immigrati) e miserabili in varie gradazioni. Operai e artigiani in massima decadenza, ma gli impiegati in grande espansione e non da adesso. Torna in libreria un “classico” della sociologia, breve e appassionante, chiaro e preveggente, che dovrebbe far ripensare a questo problema delle classi, ma anche alla grande miseria della sociologia attuale, in specie italiana ma non solo, dopo la scomparsa dell’ultimo dei grandi, Christopher Lasch il più acuto e necessario analista della mutazione che ci ha travolto. Che è stata sia economica (finanziaria) che politica e culturale. Le edizioni Meltemi hanno avuto dunque l’ottima idea di riproporre un capolavoro della sociologia di ieri che ci sembra utilissimo per capir meglio il nostro oggi, Gli impiegati di Siegfried Kracauer. A Kracauer sono personalmente debitore per aver letto a sedici anni il suo saggio sul cinema tedesco al tempo di Weimar, Da Caligari a Hitler: il contesto in cui le opere nascono è fondamentale per comprenderle e giudicarne il valore... Gli impiegati parla degli anni trenta, ma uscì in Italia nel 1980 tradotto per Einaudi da Anna Solmi e prefato da Luciano Gallino, e ci sembrò già allora attualissimo, per la definizione di una figura economica e sociale intermedia che proprio a Weimar aveva visto la sua trasformazione ed espansione e le sue frustrazioni, così spesso narrate da letteratura e cinema dell’espressionismo e del nuovo realismo sociale, da Doeblin a Murnau a tanti altri. Resta attualissimo e aiuta a capire l’oggi, perché la figura dell’“impiegato” ha assunto via via un rilievo abnorme, di fronte alla decadenza di quelle dell’operaio e del contadino. Accompagna questa nuova edizione un’attenta lettura di Maurizio Guerri, ma l’editore ha creduto opportuno, con Guerri, riproporre anche le poche pagine di Luciano Gallino accluse alla vecchia edizione. Con perfetta lucidità, Gallino vede la modernità e l’invasività della figura dell’impiegato e “sente” le sue frustrazioni, il suo malessere. Gallino (come Ferrarotti) era forte della conoscenza della grande sociologia statunitense degli anni trenta–cinquanta, ma anche della sua esperienza di sociologo “olivettiano”. Un vero maestro pur nella sua discrezione e nella sua lucidità, una figura che oggi manca enormemente. Per esempio, c’è forse qualcuno che sta analizzando come meritano i fenomeni di questi giorni, qui e ora? Eppure ne porteremo per anni le conseguenze. Nessuno ha saputo sostituire Gallino.
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