sabato 14 giugno 2003
In casa mia ha miglior sapore una rapa che io cuocia e, cotta, inforco in uno stecco, la mondo e la spargo poi di aceto e di sale, piuttosto che all'altrui mensa tordo, starna o porco selvaggio. E, così, sotto una vile coltre, come se fosse di seta e d'oro, io ben mi corico. Anche se l'abbiamo un po' ripulito secondo i canoni dell'italiano attuale, così scriveva Ludovico Ariosto (1474-1533) in una delle sue sette Satire, delineando un atteggiamento condiviso da molti. Già l'Antico Testamento, nel libro dei Proverbi, troviamo consigli di questo genere: «Un piatto di verdura offerto con amore è meglio di un bue grosso a una tavola di nemici» (15, 17). Oppure: «Meglio un tozzo di pane secco e la serenità che una casa dove si banchetta splendidamente e si litiga» (17, 1). O ancora: «Meglio poco ma con gioia, che molto ma con ingiustizia» (16, 8). La rapa cotta gustata in pace e in semplicità dall'Ariosto è
ai suoi occhi una leccornia rispetto alla mense sontuose imbandite nei palazzi. Come quel modesto lenzuolo e la coperta lisa che stanno sul suo letto sono più care di una coltre di lino o di broccato, perché proteggono il dono della serenità e della libertà. Sappiamo, infatti, che il lusso può spesso mescolarsi con l'odio, la gentilezza esteriore col tradimento, l'eleganza col disprezzo. Com'è bella, invece, la quiete, la solidarietà e la spontaneità di una casa semplice e onesta. Purtroppo la pubblicità fa di tutto per farci desiderare "tordo, starna e porco selvaggio (cinghiale)", costringendoci a dimenticare il cibo quotidiano, lo stile di vita e la semplicità che aveva contraddistinto le nostre famiglie. E invece, come scriveva Francesco De Sanctis, «la semplicità è la forma della vera grandezza».
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