La nobile caccia alle bufale (in rete)
venerdì 3 giugno 2016
Nel mondo digitale tutto è misurato. Tracciato, catalogato e usato per scopi più o meno nobili (dal marketing al ricatto). C'è però un numero importantissimo che sembra impossibile conoscere: la percentuale di falsità presente nel mondo digitale. Quella crescente massa di "bufale" che ogni giorno di più esonda dalla Rete condizionando il modo di pensare e di agire di tanti. Precedute da frasi tipo «nessuno ve lo dirà mai» oppure «giornali e tv non ne parlano» le bufale web non risparmiano più niente e nessuno.Il tema non è nuovo, ma merita – vista la diffusione e la gravità – una messa a punto. Tanto più che questo fenomeno assomiglia ogni giorno di più ad una sorte di "peste digitale", con tanto di "untori tecnologici".Chiunque abbia un profilo social si è imbattuto in un amico o un parente che ha rilanciato un articolo che annuncia l'esistenza di una cura miracolosa per il cancro o dà conto di un orribile fatto (falso) con protagonista un immigrato. Che si tratti di salute, soldi, politica o immigrazione, non c'è tema che in Rete non abbia complottisti, spacciatori di falsità che lucrano sulle bufale e "untori" di ogni genere. Non solo chi rilancia le bufale non si preoccupa di indagare sulla credibilità di chi le ha create, ma se viene "smascherato" sui social da un amico («Guarda che hai condiviso una notizia falsa») risponde con una superficialità imbarazzante: «Pazienza se non è vero, sembrava così credibile»; oppure: «Magari non sarà vera, ma è verosimile».Così, complice la superficialità di molti utenti, il falso dilaga sempre più in Rete, arricchendo pochi spregiudicati o facendo il gioco di chi vuole seminare paure di ogni tipo per i fini più disparati. A rendere il problema ancor più drammatico ci ha pensato uno studio del Laboratory of Computational social science dell'Imt di Lucca il quale sostiene che smentire le bufale in Rete è praticamente inutile. A furia di trovare pagine, articoli e commenti che sostengono qualunque tesi, molti utenti finiscono per sposarle acriticamente, perché le sentono "affini". Vanno cioè a soddisfare un loro desiderio, una loro idea politica, un loro sospetto. Non importa chi spacci certe (non) verità: una pagina Facebook agli occhi dei creduloni vale più di un giornale o di un esperto. E il risultato finale è che moltissimi non credono più nemmeno alle smentite. Non importa da chi arrivino. Vogliono "certezze". Idee e "verità" che confermino ciò che già pensano e credono.Nessuno di noi può dirsi immune dal "contagio". Perché la Rete e i social, se usati in maniera acritica, invece di allargare i nostri orizzonti cognitivi li restringono ogni giorno di più in recinti sempre più angusti. Convinti che quello che vogliamo sia avere sempre ragione, i social ci fanno sempre più spesso incontrare idee, mezze verità e bugie in grado di soddisfare il nostro ego.Così ci disabituano al confronto e a metterci in discussione. Ma allora quella contro il dilagare della menzogna sul web è una battaglia persa? Francamente non ho la risposta. Ma so che, in ogni caso e qualunque sarà l'esito finale, è una battaglia che deve essere combattuta. Da tutti. Un mondo di bufale e creduloni produce danni incalcolabili dentro e fuori il mondo digitale.
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