venerdì 22 agosto 2003
Qual è la maschera che noi indossiamo quando crediamo che nessuno, assolutamente nessuno, ci osserva, ci sorveglia, ci ascolta, ci implora, ci comanda, ci attacca? Se potessimo vedere nella solitudine dell'intimità molte persone celebri, che in pubblico sono costrette a muoversi sempre con una maschera, rimarremmo probabilmente stupiti. Noi stessi, quando siamo soli, lasciamo cadere le nostre autodifese e non è sempre detto che appaia la nostra parte migliore, in una libertà che può essere persino volgarità, banalità, insensatezza. Eppure nella domanda che oggi abbiamo posto a tema della nostra riflessione, lo scrittore ultranovantenne argentino (è nato a Buenos Aires nel 1911) Ernesto Sabato ci ammonisce su un fatto tutt'altro che infrequente. L'uomo è tentato di non dismettere mai la maschera che cela la sua coscienza, non depone mai del tutto le difese, non ha il coraggio di fermarsi a guardare dentro la sua anima. Ebbene, proprio in questi giorni di quiete, di distacco dalla vita pubblica, in cui si è immersi per il resto dell'anno, bisognerebbe ritagliarsi lo spazio per lasciare cadere le spoglie esteriori e risalire all'anima, a quel gorgo oscuro di vizi ma anche alla luce del bene che è in noi e che non facciamo irradiare all'esterno di noi. C'è, dunque, una nudità da conquistare, quella dello spirito: sopra si depongono tanti manti e rivestimenti, al punto tale che non sappiamo più neppure noi stessi chi siamo realmente. In questo periodo, allora, mettiamo in pratica quello che suggeriva Gesù: «Entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Matteo 6, 6). Anche il profeta Isaia invitava Israele così: «Va', popolo mio, entra nelle tue stanze e chiudi la porta dietro di te, nasconditi per un momento!» (26, 20). In quel silenzio forse cadrà anche l'ultima maschera.
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