domenica 21 agosto 2005
Non c"è volto che non risponda al desiderio di una mano; non c"è mano che non sia attratta dal desiderio di un volto.Era nato al Cairo nel 1912 da una famiglia ebrea francese; morirà a Parigi nel 1991. Edmund Jabès, poeta e saggista, ci offre oggi questo spunto molto suggestivo per esaltare un simbolo a cui abbiamo fatto riferimento più volte, quello del viso, «la più interessante superficie del mondo», come la definiva lo studioso tedesco del "700 Georg Lichtenberg. La faccia è, infatti, la via più aperta per il dialogo, per il confronto, per l"amore.   Jabès, però, introduce un altro elemento decisivo nella comunicazione, la mano (si è soliti dire che soprattutto noi, popoli mediterranei, parliamo anche con le mani). Vorremmo, perciò, dire qualcosa a proposito del senso che ha la sua espressione proprio attraverso la mano, ossia il tatto.Si pensi che nella Bibbia la mano è presente più di 1500 volte e, nel caso dei miracoli di Gesù, costituisce la componente più significativa accanto alla parola. Cristo, infatti, tocca il malato sull"organo malato: provocatorio è il gesto di toccare i lebbrosi, quasi ad assumere su di sé quell"infezione e quel male, violando le rigide prescrizioni della legge biblica che imponevano il distacco assoluto da quell"infermo. La mano che stringe l"altra mano, che accarezza il volto, che abbraccia diventa, quindi, il segno di una fraternità. E il tatto ha il compito di esaltare questa comunione: è quella che i filosofi chiamano "l"intelligenza delle emozioni". Essa può deformarsi attraverso la sensualità fine a se stessa, ma di sua natura vuole realizzare un incontro tenero, amoroso, delicato, autenticamente umano.
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