martedì 21 agosto 2012
«Dicono che a causa di quel grande incendio il colore della pelle degli Etiopi divenne scuro, e che la Libia divenne un deserto in quell'occasione, per l'evaporazione definitiva e irrimediabile di tutti gli umori». Nelle Metamorfosi il poeta Ovidio interpreta la natura come frutto di storie. In questo caso l'aridità del deserto e il colore della pelle degli etiopi sarebbero conseguenze della tragedia di Fetonte, figlio del sole, che, scalpitante e incosciente per la giovane età, volle guidare il carro del padre, e non essendone capace precipitò in mare bruciando la terra. Molti credono che l'interpretazione fiabesca, mitologica della realtà del mondo sia una prerogativa delle civiltà definite primitive. Invece questa lettura del mondo è all'origine anche della nostra civiltà occidentale. I miti greci, da una parte, enel ben più pragmatico Occidente della Roma di Augusto, il poeta Ovidio descriveva il volto del mondo con lo stesso atteggiamento dei narratori aborigeni della Nuova Guinea o dell'Africa nera. L'interpretazione scientifica degli stessi fenomeni non contrasta minimamente con quella mitica, maanzi la conferma. Anche nell'esperienza quotidiana devono convivere due atteggiamenti, uno razionale e dettagliato, uno magico e immaginifico. Solo così la realtà non ci sfugge, sfarinandosi tra le nostre dita.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: