giovedì 25 maggio 2006
Si può notare in modo costante che gli uomini, quando iniziano a decadere, sembrano obbedire alla legge di Newton: precipitano verso l'abiezione con rapidità crescente.

Importante poeta tedesco dell'Ottocento, Heinrich Heine (1797-1856) ha composto anche molti saggi e scritti vari tra i quali un testo intitolato Idee. Il libro Legrand. È alle sue pagine che oggi ho attinto per proporre questa considerazione che vale sia per i singoli sia per le nazioni. Se si bada, infatti, alla storia, si scopre quanto sia stata precipite la caduta di popoli gloriosi in passato, ma soprattutto si vede quanto questa «legge di Newton» dell'esistenza sia stata vera per molti «grandi». Grida, ad esempio, il profeta Isaia: «È caduta, è caduta Babilonia! Tutte le statue dei suoi dèi sono in frantumi a terra!» (21, 9; si leggano anche i capitoli 18-19 dell'Apocalisse dedicati al crollo clamoroso della Babilonia imperiale romana). Ma applichiamo il discorso a noi, persone comuni. Heine identifica con l'immagine della legge di gravità una costante dell'anima. Quando si comincia a cedere, sia pure lievemente, ricorrendo a una scusante, non è che ci si fermi lì. In realtà si apre un varco che lentamente s'allarga e, senza accorgercene, arriviamo al punto di non ritorno, dove la caduta è verticale e catastrofica. Il libro biblico dei Proverbi parla di «sentieri tortuosi e obliqui» che poi, però, sfociano «verso la morte e il regno delle ombre da cui non si fa ritorno» (2, 15.18-19). Certo, è possibile con grandi sforzi, implorando la mano potente di Dio, risollevarsi. Ma spesso, caduti in basso, ci si rassegna, sguazzando in quella palude. È per questo che è decisivo sorvegliare sempre la coscienza e l'azione e impegnarsi nel controllo di sé e delle reazioni e pulsioni.
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