
Può la legge renderci felici? È quello che in ogni caso garantisce san Giacomo quando dichiara: «Chi fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (Gc 1,5). Come può una legge, generalmente concepita per limitare la nostra libertà, per dirci quello che dobbiamo fare, essere una legge di libertà? Non è forse lì per imporre la volontà del legislatore alla nostra volontà?
La Legge di Dio, rivelata a Mosè dopo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, si presenta in realtà come la custode della libertà del popolo, per evitargli di cadere nella peggiore delle servitù: la schiavitù del peccato. La violenza, la collera, la concupiscenza e la menzogna sono padrone ben più implacabili di Faraone, e i comandamenti non hanno altro scopo che sostenere la nostra volontà di felicità davanti alle tentazioni. Non ci invitano a un bene morale arbitrario che cadrebbe dal cielo: quel bene è il nostro bene, quello che ci fa del bene, mentre il male non è altro che ciò che ci fa del male e ci distrugge. Perseguire incessantemente il nostro bene, non rinunciare alla nostra felicità, è l’appello della legge di Dio, che tiene alla nostra libertà più di quanto non ci teniamo noi stessi.
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