domenica 18 dicembre 2005
La gola è un vizio che non finisce mai, ed è quel vizio che cresce sempre quanto più l'uomo invecchia. Passeggiare per le vie di una città in questo tempo già segnato dai simboli natalizi è come fare un pellegrinaggio pagano nella terra di Bengodi. È anche un modo per imparare quante cose non necessarie siano contrabbandate come indispensabili. Naturalmente, oltre alla vista, è soprattutto la gola ad essere catturata. Certo, il cibo non è mai stato solo un semplice mezzo di sopravvivenza, ma ha sempre trascinato con sé suggestivi significati simbolici di amicizia, di condivisione umana, persino di fascino e bellezza. C'è, però, sempre in agguato " come in tutte le realtà usate dall'uomo " l'eccesso, il peccato di gola, divenuto uno dei sette vizi capitali, bollato anche da Dante e da una schiera immane di scrittori, predicatori e moralisti. Che questo vizio non finisca mai, anzi, si acutizzi persino nella vecchiaia quando dovrebbe apparentemente spegnersi, ce lo ricorda Ridolfo, il gestore della famosa Bottega del caffè, la commedia che Goldoni scrisse nel 1750. Ma il pensiero potrebbe correre a quel forte e incisivo film di Marco Ferreri che ha un titolo emblematico, La grande abbuffata (1973), e che intreccia in modo sferzante e tragico cibo, sesso, morte. Senza voler ripetere le pur fondate querimonie sullo spreco, sul consumismo, sulla sfacciataggine del benessere che celebra le sue idolatriche liturgie proprio in questi giorni sacri, dobbiamo un po' tutti riconoscere la necessità di una maggiore sobrietà. Non, però, per semplici motivi dietetici, bensì per guardare ai margini di quelle strade e città dove si accampano tanti che non hanno neppure il minimo per un pranzo di mera sopravvivenza.
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