mercoledì 27 agosto 2003
Il dolore rivela all'uomo i fondamenti del suo essere uomo: la propria fragilità, l'aver bisogno dell'altro, l'importanza dei legami e dei sentimenti, la bellezza di una condizione di bisogno e di dipendenza, la società intesa come gruppo di aiuto e strumento di sicurezza, il senso del divino e dell'assoluto, la bellezza della preghiera, la variabilità del tempo e il bisogno di fine e di sollievo che ha il sapore della rinascita, l'esigenza di una nuova gerarchia di cose. Ho dovuto semplificare questo elenco delle "grazie" che la sofferenza porta con sé. Chi vorrà leggerlo nella sua integralità e scoprire tante altre intense e suggestive riflessioni su un tema sempre lacerante, legga il bel libro Capire il dolore (Rizzoli) di uno dei più significativi studiosi italiani della psiche, Vittorino Andreoli, autore che leggiamo ogni settimana proprio sul nostro giornale, con riflessioni sempre sorprendenti e felici. La meta che egli vuole raggiungere con questo suo saggio è già iscritta nel sottotitolo "Perché la sofferenza lasci spazio alla gioia". Proviamo, dunque, a far scorrere quelle note che ho sopra sintetizzato. È vero: il dolore non è solo oscurità e desolazione; ha in sé una capacità rigeneratrice ed educatrice. Ti fa capire che non sei onnipotente, che hai bisogno dell'altro, che i legami sono importanti per stare in vita, che sentirsi curati fa ritrovare un filo dell'infanzia smarrita, che gli altri possono essere una protezione, che è liberatorio in quel momento pregare anche se apparentemente tu scagli a Dio un urlo disperato, che i valori - visti con la nuova prospettiva
che ti dà il dolore - sono altri rispetto a quelli che avevi scelto quand'eri "benestante" e così via. Aveva ragione lo scrittore americano Saul Bellow quando nel romanzo Il re della pioggia affermava: «La sofferenza è forse l'unico mezzo valido per rompere il sonno dello spirito».
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