sabato 8 giugno 2019
Nei giorni della caduta del regime comunista, alla fine del 1989, mi ritrovai a Bucarest a cercare quello che restava della Chiesa cattolica rumena. Parlai con l'avvocato ebreo che quarant'anni prima era stato l'unico ad accettare la difesa dei vescovi cattolici accusati di tradimento, salvandoli dalla forca ma avendone per questo la vita rovinata. Vidi emergere dal nulla fantasmi che si presentavano come preti greco-cattolici, mani tozze da contadini e occhi smarriti; e ne incontrai altri che invece non ce l'avevano fatta e avevano venduto il loro gregge per un passaporto, e adesso si nascondevano. Scoprii quanto crudelmente maligna fosse stata la persecuzione patita da quella gente, ortodossi compresi, e di come la fede fosse sopravvissuta grazie al catechismo fatto di nascosto in famiglia e al mantenere viva la memoria degli eroi. Cosa quest'ultima del tutto evidente quando si entrava nel settore cattolico del cimitero Serban Voda, dove alle poche tombe curate con infinito amore, come quella di monsignor Iuliu Hossu, facevano da contorno quelle abbandonate dei tanti don Abbondio.
La crudeltà di quella persecuzione l'ha ricordata domenica scorsa Papa Francesco beatificando in Romania Hossu e, con lui, gli altri vescovi che non si piegarono al comunismo, Vasile Aftenie, Ioan Balan, Valeriu Traian Frentiu, Ioan Suciu, Tit Liviu Chinezu e Alexandru Rusu. «Queste terre – ha detto – conoscono bene la sofferenza della gente quando il peso dell'ideologia o di un regime è più forte della vita e si antepone come norma alla stessa vita e alla fede delle persone; quando la capacità di decisione, la libertà e lo spazio per la creatività si vede ridotto e perfino cancellato... voi avete sofferto i discorsi e le azioni basati sul discredito che arrivano fino all'espulsione e all'annientamento di chi non può difendersi e mettono a tacere le voci dissonanti». I nuovi sette vescovi beati «di fronte alla feroce oppressione del regime dimostrarono una fede e un amore esemplari per il loro popolo. Con grande coraggio e fortezza interiore, accettarono di essere sottoposti alla dura carcerazione e ad ogni genere di maltrattamenti, pur di non rinnegare l'appartenenza alla loro amata Chiesa».
In questo modo, ha aggiunto Bergoglio, «questi pastori, martiri della fede, hanno recuperato e lasciato al popolo rumeno una preziosa eredità che possiamo sintetizzare in due parole: libertà e misericordia». Libertà da ogni umana coercizione e «una disposizione al martirio senza parole di odio verso i persecutori, nei confronti dei quali hanno dimostrato una sostanziale mitezza». Ed è di questa eredità che tutti dobbiamo fare tesoro, perché «anche oggi appaiono nuove ideologie che, in maniera sottile, cercano di imporsi e di sradicare la nostra gente dalle sue più ricche tradizioni culturali e religiose. Colonizzazioni ideologiche che disprezzano il valore della persona, della vita, del matrimonio e della famiglia e nuocciono, con proposte alienanti, ugualmente atee come nel passato, in modo particolare ai nostri giovani e bambini lasciandoli privi di radici da cui crescere». Così tutto diventa «irrilevante se non serve ai propri interessi immediati, e induce le persone ad approfittare delle altre e a trattarle come meri oggetti». Per il Papa sono voci «che, seminando paura e divisione, cercano di cancellare e seppellire la più preziosa eredità che queste terre hanno visto nascere». Come provò a fare il comunismo. Senza riuscirci.
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