martedì 4 dicembre 2007
Un impiegato delle poste è pari a un conquistatore, qualora l'uno e l'altro abbiano una coscienza comune. Tutte le esperienze sono, al riguardo, indifferenti" C'è Dio o il tempo, la croce o la spada. O il mondo ha un senso più alto, o nulla è vero al di fuori di tali agitazioni.

Ricordo ancora il turbamento che provai quando lessi il saggio Il mito di Sisifo che lo scrittore francese Albert Camus pubblicò nel 1942. Da quel libro inquietante estraggo oggi alcune battute. A prima vista c'è un elemento positivo: se uno segue con autenticità e verità la sua coscienza, ogni professione ha una dignità alta e indiscussa, sia che si tratti di un impiegato delle poste sia che di scena sia un conquistatore. Ma Camus, in realtà, vuole registrare un ben diverso atteggiamento, per altro dominante ai nostri giorni, quando continua affermando che tutte le esperienze sono indifferenti, sia che tu compia un atto modesto e inoffensivo, come inoltrare la corrispondenza, sia che tu esegua massacri per la ragion di stato.
Egli ci pone di fronte a due concezioni della vita e del mondo: o c'è Dio e un senso più alto, oppure c'è solo il fluire del tempo con tutte le nostre agitazioni scomposte. Nel primo caso non è indifferente timbrare buste o uccidere; nel secondo si tratta di atti analoghi, immersi nella poltiglia di un'esistenza senza senso. Camus sceglierà con amarezza questa seconda alternativa che conduce al relativismo nichilista, riconoscendo che la scelta è tra «tutto e nulla». Anche noi ci troviamo davanti a quel bivio, attratti da un'indifferenza comoda anche se drammatica. L'appello che risuona per un senso più alto è costante: riflettiamo prima di lasciarci andare alla deriva sull'altra via.
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