La critica? È rara più della poesia
venerdì 11 febbraio 2022
Mezzo secolo fa, nel 1972, moriva Edmund Wilson, il maggiore critico letterario e saggista del Novecento nordamericano. Coetaneo e amico di narratori come Scott Fitzgerald, Dos Passos, Hemingway e Faulkner, fu collaboratore delle riviste "New Yorker", "Vanity Fair" e "New Republic" e amò definirsi semplicemente giornalista, sottolineando così la vocazione e l'impegno largamente comunicativi, militanti e democratici del suo stile critico. I suoi interessi furono sempre vasti, non limitati alla letteratura americana contemporanea e neppure alla sola letteratura. Nel 1931, a trentasei anni, pubblicò Il castello di Axel, uno dei primi e fondamentali bilanci del modernismo europeo di matrice simbolista, in cui si leggono saggi su Yeats, Proust, Valéry, Joyce, Eliot, Gertrud Stein, Villiers de l'Isle-Adam e Rimbaud, individuandone originalità e limiti. Tra il 1920 e il 1950 dominò la scena culturale statunitense anche come autore di un epico studio dedicato allo storicismo socialista e al marxismo rivoluzionario, Stazione Finlandia. Biografia di un'idea, pubblicato nel 1940. Essendo stato marxista negli anni trenta, Wilson nel 1971 scrisse per il suo vecchio libro un'introduzione in cui precisava che «è troppo facile idealizzare un rivolgimento sociale che si verifica in qualunque paese che non sia il nostro»: i romantici inglesi e tedeschi idealizzarono la Rivoluzione francese e il francese La Fayette aveva idealizzato la Rivoluzione americana. Avvenne lo stesso con quella russa del 1917 nei due decenni successivi. Si credette all'affermazione di Trockij secondo cui i bolscevichi avevano edificato «la prima società veramente umana». Wilson accusa di ingenuità la sinistra americana di cui aveva fatto parte, anche se non era facile presagire a distanza che in Russia si sarebbe instaurata «una delle più odiose tirannie che il mondo abbia mai conosciuto». Il libro di Wilson, tuttavia, non aveva parlato della realtà politica russa ma solo delle intenzioni e convinzioni dei rivoluzionari. È scandaloso il silenzio dei nostri studiosi e storici della critica a proposito della sua opera. Grande fu la stima che hanno avuto invece di Wilson due critici come Giacomo Debenedetti e George Steiner, che scrisse che «i grandi critici sono più rari dei grandi poeti e dei grandi romanzieri».
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