giovedì 17 luglio 2003
La casa sia come una piccola città, la città come una grande casa. Quando ci si muove per Milano è facile imbattersi in opere di uno dei maggiori architetti del Novecento, Gio Ponti (1891-1979): basti pensare al grattacielo Pirelli, ora sede della Regione Lombardia, ritornato alla cronaca per l'aereo che l'anno scorso l'ha centrato, oppure ai palazzi della Montecatini o alla torre del Parco e così via. Leggendo qualche mese fa un articolo su questo personaggio che ha lasciato almeno 10.000 disegni di architettura, che ha edificato in 13 Paesi diversi, che ha insegnato per 25 anni e lavorato per 60, ho appreso - attraverso la testimonianza della figlia Lisa - che egli amava la frase che sopra ho citato. Non
era una sua affermazione ma di quel genio raffinatissimo dell'architettura che fu il padovano Andrea Palladio (1508-1580). Purtroppo siamo ben lontani da quell'ideale. Le nostre case spesso sono brutte sia per progetto sia per arredo: se rivelano l'impronta del padrone, è solo per segnalare il suo cattivo gusto. Non riflettono più il "piccolo mondo" della famiglia e del paese, come accadeva anche alle case semplici e modeste del passato (si pensi solo al camino, alle madie, ai canterani, alle oleografie appese alle pareti, agli utensili in rame"). In modo parallelo anche le città non sono più la grande casa in cui la comunità si ritrovava e viveva esperienze comuni: come non emozionarsi quando si entra nei centri storici delle città italiane antiche e come non sdegnarsi quando si transita dalle loro enormi e orride periferie moderne? E' necessario ritornare all'educazione del gusto, riscoprire la bellezza, amare la propria casa, far rivivere le nostre città.
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